Mentre pronuncia la parola "famiglia", un riflesso di gratitudine attraversa gli occhi di Massimo: perché l'avventura di Pasta Mancini è un ritorno a casa, un cerchio che si chiude. È il 1938 quando nonno Mariano decide, lungimirante, che deve essere un trattore a muovere le sue trebbie. E per anni quelle macchine garantiscono la mietitura alle aziende della zona, dal mare fino agli Appennini. Un primo seme gettato con ottimismo, che papà Giuseppe sa proteggere e mettere a frutto, ampliando negli anni Settanta le dimensioni dell'azienda dagli iniziali 20 ettari sino ai 100 attuali. Se, affondando i piedi nella terra, si guardano le colline che circondano il pastificio, sono i nomi di Giuseppe e Mariano a risuonare nell'aria. Il sogno di Pasta Mancini germoglia definitivamente negli anni dell'università e Massimo impara ad osservare i valori della filiera cerealicola nel loro complesso: non solo conoscenza diretta del seme di grano e del suo ciclo vitale, ma anche comunicazione e marketing della pasta. L'esperienza di studio, il master, l'impiego presso un pastificio, misti alla fiducia nel futuro ereditata dalla mamma, gli chiariscono dove vuole arrivare: decide che è ora di trasformare in pasta il grano duro di famiglia. È la prima delle scelte importanti che daranno forma al sogno, è la "fase di levata", così come la primavera lo è per il grano. Inizia la selezione delle varietà da seminare, si affinano le tecniche di coltivazione e finalmente si effettuano le prove di produzione in un piccolo pastificio. Dopo alcuni anni di test e più di settanta da quel lontano 1938, la storia dei Mancini si evolve ancora e il ciclo si completa. È nel cuore dell'azienda che il pastificio viene costruito, in mezzo a quel campo di grano che da settant'anni sembra aspettare il suo arrivo come si aspetta un destino naturale. Nonno Mariano è stato il seme, papà Giuseppe la terra fertile che lo ha accolto e aiutato a crescere e ora Massimo è la spiga giunta a piena maturazione.