E’ famoso per
alcuni prodotti: le prelibate salsicce, piccanti come sanno essere i
sanniti; il caciocavallo
dolcissimo come il sole allorché trova un varco nell’asperità della
montagna, il pecorino canestrato,
solido, rigido come la stagione invernale, sapido di erba, odoroso
di muschio di terra e roccia; il marcetto,
sovrano di una tradizione antichissima che al gusto apre sentieri di
roccia, di scalate vertiginose. Sul marcetto vogliamo più porre
attenzione.
Su questa tradizione secolare che non ha eguali mettiamo il nostro
pensiero e ci permettiamo di narrare una
giornata al suo inseguimento giacché non facile è trovarne.
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foto:
abruzzoverdeblu.it |
Il mio amico Carlo
ha sonno e il sonno mi fa compagnia. Partiamo da
Ascoli Piceno per una giornata
da dimenticare o indimenticabile. E’ il
lunedì dell’angelo, il giorno delle scampagnate, delle
gite fuori porta, di passar l’acqua.
Io e Carlo invece passiamo il fiume Tronto
in questo preciso momento. Gli Abruzzi di fronte, le nostre Marche
alle spalle. Carlo ogni tanto si sveglia e mi dice dove siamo? La
strada va verso Teramo e Teramo lo sveglia e gli dà quell’energia
per prendere una mappa stradale e finalmente mi guida verso il gran
sasso.
- Dopo il traforo esci ad Assergi
che ci inerpichiamo su, su per campo imperatore e poi scendiamo di
lassù verso…verso…come si chiama il paese?
- Castel del Monte!
La montagna si fa aspra, la strada sale e il tempo muta con un
languore di nebbia e le cose lontane paiono vicine e quelle vicine
invece no. Incontriamo un paese, dove ci fermiamo a fare colazione e
iniziamo per curiosità o per baldanza a domandare se sanno di questo
marcetto se è pratica attuale o solo una memoria letteraria. Alcuni
ci guardano un po’ stupiti.
Uno, un uomo alto, magro e dall’occhio liquido mi sorride e mi fa:
Qua di marcio c’è il tempo! Un altro mi getta uno sguardo di
gelo e mi dice che non si può fare il marcetto è proibito dalla
legge. La legge, dico a Carlo, la legge proibisce al cacio di
marcire? Carlo, uomo del mondo mi fa: E’
proibita la vendita, caro, la vendita.
Ci accorgiamo che quel paese è meta di sciatori. C’è la funivia che
porta alle piste. Il mondo dei pastori è una mia ingenuità.
Ripartiamo verso il passo di campo imperatore. Dopo pochi chilometri
si staglia un cartello sulla nostra destra che dice: passo
interrotto per neve. Ci guardiamo allibiti.
-
Continuiamo.
Carlo mi crede e mi dice: Va bé!
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foto:
abruzzoverdeblu.it |
La montagna che
aggiriamo, che tentiamo di dominare con la strada, si rivela
altissima e piena di sguardi sublimi. Sontuose valli si aprono sugli
strapiombi, vertigini di roccia svettano da ogni parte,
all’improvviso, come folgorazioni. La neve è poca ai lati fin a quel
punto. Dopo un tornante, che volta le viscere e la ragione, si apre
un sentiero di asfalto tra la neve altissima ai lati… Carlo mi fa:
quanto sei pollo!
Torniamo indietro, ridiscendiamo la montagna, ripassiamo dove
avevamo visto spiragli di sole, ora incombe una nebbia spessa,
livida. Carlo mi segnala la strada da fare. Torniamo verso Assergi
prendiamo per Paganica pochi
chilometri e c’è un bivio per Santo
Stefano, Rocca Calascio, Castel del Monte. E’ fatta, sono
36 Km di strada che a spirale sale dalla parte opposta di Campo
imperatore, 36 Km di pietra e roccia, muschio e precipizi e
frazioncine gettate là e qua come greggi di pecore. Santo Stefano ci
appare all’improvviso e all’improvviso lo superiamo voltandogli le
spalle. Verso Calascio si getta il mio amico, al quale cedo la mia
Panda per dedicarmi a mandare “formaggini” oops, messaggini ai miei
amici, i quali ci aspettano per cena e alla cena dobbiamo pensare
noi che andiamo alla scoperta di prodotti speciali.
Carlo intanto si incurva sullo sterzo in una discesa ripida che
quasi somiglia al volo del grifone oppure alla caduta d’uno
scalatore. Calascio è bello s’incontra sulla strada e pare che abbia
vissuto antichi fasti. Carlo da grande filatelico mi dice che la
rocca di Calascio è stata ricordata
dall’istituto poligrafico con un francobollo che ne ritrae
l’immagine turrita. Si sente nell’aria che Castel del
Monte è vicino. Eh, si, è proprio vicino! Appare sulla montagna come
un miracolo, color perla sotto il sole, un cumulo di roccia mal
ordinato che s’aggrappa alla montagna per non cadere. Ci fermiamo
sotto il municipio al centro del paese.
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foto di
Toti Calò da stupormundi.it |
Castel del Monte ha
due livelli: il paese antico, ammonticchiato su se stesso, si dipana
in piccole e strette stradine, o scalinate ripidissime. Oggi non si
possono visitare gli angoli suggestivi, gli imprevisti strapiombi.
Essendo ancora mezzo coperto di neve. Praticamente disabitato lascia
nel passeggiarvi dentro, ove si può, una nostalgia inquieta, una
docile pena. Sotto, il paese nuovo, con la piazzetta, i vari palazzi
affacciati sui turisti che fanno mercato aperto.
Entriamo in una bottega che è solo un corridoio. Domando con
l’occhio fisso su salsicce appese: Avete
del marcetto?
Il banconista mi scruta dentro e mi dice quasi sottovoce che non ne
ha indicandomi lungo il paese un negozio. Lo dice come se mi
svelasse un segreto e io ci credo, mentre Carlo ha già acquistato
due pieghe di salsicce, dicendomi: una ciascuno. Ci dirigiamo verso
il negozio.. quando a due passi dalla bottega, un signore distinto,
con lo sguardo lucido e il viso pallido, giovane nel portamento
vecchio nella gentilezza e nel decoro, mi ferma con l’aria di
conoscere la mia curiosità.
- Perdonate la mia impudenza, ai vecchi è
concesso tradire la distanza fra gli sconosciuti, cercate il
marcetto ma dovreste sapere che da queste parti si chiama:
u cace fraceche.
Il cacio coi vermi saltarelli è antichissimo come il paese o come la
montagna. Oggi c’è una spiegazione del processo, dicono che una
mosca, la Piophila Casei
depone le sue uova nelle forme di pecorino spaccate o ferite o
apertesi per sorte o per grazia. La sue uova maturano nel cacio e
nascono vermi che si nutrono di solo cacio e diventano parte del
cacio. E’ vero, ma forse non sapete che i
pastori allevavano i vermi nutrendoli di latte fresco di pecora,
così da allevatori di pecore si son fatti anche allevatori di vermi.
Non andate in quel negozio che vi hanno or
ora indicato, è u cace fraceche turistico, che è mezzo cace e mezzo
fraceche. Uscendo dal paese c’è una signora che gestisce un piccolo
alimentare che produce il miglior cace fraceche di castel del monte.
Andate a nome mio, io mi chiamo Alberigo.
Affascinato dall’affabile Alberigo lo guardo negli occhi come un
figlio suo padre e mi spavento di tanta corrispondenza. Sto per
prendergli la mano e stringergli il cuore e lui con un sorriso da
bambino mi porge la sua destra e continua:
ragazzi prima di andare seguite questa via
di fronte, a poche centinaia di metri c’è una specie di garage con
un ampio portone color ruggine ebbene suonate il campanello e
certamente scenderà una vecchia signora, ella ha il caciocavallo più
dolce del paese.
Alberigo sembra quasi scomparire alla furia di me e di Carlo. Tutto
compiamo come Alberigo ci dice. La vecchia signora ci apre la sua
dispensa che acceca la nostra visione. Centinaia e centinaia di
meravigliose pere di caciocavallo
stanno appese a travi di castagno, mentre su assi antiche di pesi
grandi forme di cacio pecorino canestrato.
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Tiriamo fuori il
portamonete e facciamo incetta di pere e forme e usciamo
con le borse piene e l’animo acquietato sebbene un
ultimo e prezioso momento ci pregiamo di vivere: u cace
fraceche. |
Usciamo in macchina
dal paese e mentre le ultime case ci salutano sulla sinistra
incontriamo il piccolo alimentare indicatoci. Scendiamo e con foga
entriamo dentro.
La signora al banco ci dice subito: volete
il marcetto?
Rispondo – no, u cace fra ceche!
Si fa una risata. Continuo dicendo che Alberigo ci ha consigliato.
Lei si scioglie in un dolcissimo sorriso che ha l’intensità d’un
antico amore. Subito si adopera al ben servire. Chiama le due
figliole e ce le presenta come se fossimo loro pretendenti.
Carlo si inchina e si lancia in un baciamano proferendo:
Encandado.
Le guance rosee delle ragazze s’infiammano d’un rosso ciliegia e la
madre che assiste alla scena si riassetta un poco il seno e dice:
quanto ne volete?
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Ne
acquistiamo un chilo, la signora ce lo confeziona
davanti a noi in un contenitore di plastica trasparente,
ha l’aspetto di un gelato alla crema non solo per il
colore giallo oro, anzi avorio antico, ma soprattutto
per la consistenza.
Ne sento l’odore è un’esplosione di sensazioni, una
deflagrazione di esperienze, una battaglia di dolce e
amaro, una specie di follia del cacio, se posso ardire
all’iperbole. |
foto
parks.it |
Sulla punta della
lingua pare che sia innocuo, poi si profonda in una turba piccante e
ampia di pecorino il più esplosivo pecorino
mai assaggiato. Riprendiamo strada verso un pranzo, in
qualche ristorante tipico, e da questo momento in poi, con l’odore
del marcetto che si propaga dentro l’auto e che si fonde con gli
altri prodotti acquistati, inizia una nuova storia, un nuovo
capitolo di una giornata che diventa pian piano interminabile... |