09.05.2005 | Itinerari del Gusto

Il Marcetto di Castel del Monte o meglio ''u cace fraceche''

Castel del Monte sta sotto il Gran Sasso. Un piccolo paese di grande intensità evocativa. I pastori l’hanno abitato, vissuto e poi tutto è svanito come una tormenta. E’ uscito il sole del turismo perché il paese è bello, di una pietra che appartiene al sasso, al gran sasso. Sta là aggrappato al suo destino di strapiombo e si meraviglia. I pastori non se ne vedono, almeno nel centro, affaccendato a soccorrere le curiosità dei “pellegrini”...

E’ famoso per alcuni prodotti: le prelibate salsicce, piccanti come sanno essere i sanniti; il caciocavallo dolcissimo come il sole allorché trova un varco nell’asperità della montagna, il pecorino canestrato, solido, rigido come la stagione invernale, sapido di erba, odoroso di muschio di terra e roccia; il marcetto, sovrano di una tradizione antichissima che al gusto apre sentieri di roccia, di scalate vertiginose. Sul marcetto vogliamo più porre attenzione.

Su questa tradizione secolare che non ha eguali mettiamo il nostro pensiero e ci permettiamo di narrare una giornata al suo inseguimento giacché non facile è trovarne.

foto: abruzzoverdeblu.it

Il mio amico Carlo ha sonno e il sonno mi fa compagnia. Partiamo da Ascoli Piceno per una giornata da dimenticare o indimenticabile. E’ il lunedì dell’angelo, il giorno delle scampagnate, delle gite fuori porta, di passar l’acqua.

Io e Carlo invece passiamo il fiume Tronto in questo preciso momento. Gli Abruzzi di fronte, le nostre Marche alle spalle. Carlo ogni tanto si sveglia e mi dice dove siamo? La strada va verso Teramo e Teramo lo sveglia e gli dà quell’energia per prendere una mappa stradale e finalmente mi guida verso il gran sasso.

- Dopo il traforo esci ad Assergi che ci inerpichiamo su, su per campo imperatore e poi scendiamo di lassù verso…verso…come si chiama il paese?
- Castel del Monte!

La montagna si fa aspra, la strada sale e il tempo muta con un languore di nebbia e le cose lontane paiono vicine e quelle vicine invece no. Incontriamo un paese, dove ci fermiamo a fare colazione e iniziamo per curiosità o per baldanza a domandare se sanno di questo marcetto se è pratica attuale o solo una memoria letteraria. Alcuni ci guardano un po’ stupiti.

Uno, un uomo alto, magro e dall’occhio liquido mi sorride e mi fa: Qua di marcio c’è il tempo! Un altro mi getta uno sguardo di gelo e mi dice che non si può fare il marcetto è proibito dalla legge. La legge, dico a Carlo, la legge proibisce al cacio di marcire? Carlo, uomo del mondo mi fa: E’ proibita la vendita, caro, la vendita.

Ci accorgiamo che quel paese è meta di sciatori. C’è la funivia che porta alle piste. Il mondo dei pastori è una mia ingenuità. Ripartiamo verso il passo di campo imperatore. Dopo pochi chilometri si staglia un cartello sulla nostra destra che dice: passo interrotto per neve. Ci guardiamo allibiti.

 - Continuiamo.
Carlo mi crede e mi dice: Va bé!

foto: abruzzoverdeblu.it

La montagna che aggiriamo, che tentiamo di dominare con la strada, si rivela altissima e piena di sguardi sublimi. Sontuose valli si aprono sugli strapiombi, vertigini di roccia svettano da ogni parte, all’improvviso, come folgorazioni. La neve è poca ai lati fin a quel punto. Dopo un tornante, che volta le viscere e la ragione, si apre un sentiero di asfalto tra la neve altissima ai lati… Carlo mi fa: quanto sei pollo!

Torniamo indietro, ridiscendiamo la montagna, ripassiamo dove avevamo visto spiragli di sole, ora incombe una nebbia spessa, livida. Carlo mi segnala la strada da fare. Torniamo verso Assergi prendiamo per Paganica pochi chilometri e c’è un bivio per Santo Stefano, Rocca Calascio, Castel del Monte. E’ fatta, sono 36 Km di strada che a spirale sale dalla parte opposta di Campo imperatore, 36 Km di pietra e roccia, muschio e precipizi e frazioncine gettate là e qua come greggi di pecore. Santo Stefano ci appare all’improvviso e all’improvviso lo superiamo voltandogli le spalle. Verso Calascio si getta il mio amico, al quale cedo la mia Panda per dedicarmi a mandare “formaggini” oops, messaggini ai miei amici, i quali ci aspettano per cena e alla cena dobbiamo pensare noi che andiamo alla scoperta di prodotti speciali.

Carlo intanto si incurva sullo sterzo in una discesa ripida che quasi somiglia al volo del grifone oppure alla caduta d’uno scalatore. Calascio è bello s’incontra sulla strada e pare che abbia vissuto antichi fasti. Carlo da grande filatelico mi dice che la rocca di Calascio è stata ricordata dall’istituto poligrafico con un francobollo che ne ritrae l’immagine turrita. Si sente nell’aria che Castel del Monte è vicino. Eh, si, è proprio vicino! Appare sulla montagna come un miracolo, color perla sotto il sole, un cumulo di roccia mal ordinato che s’aggrappa alla montagna per non cadere. Ci fermiamo sotto il municipio al centro del paese.

foto di Toti Calò da stupormundi.it

Castel del Monte ha due livelli: il paese antico, ammonticchiato su se stesso, si dipana in piccole e strette stradine, o scalinate ripidissime. Oggi non si possono visitare gli angoli suggestivi, gli imprevisti strapiombi. Essendo ancora mezzo coperto di neve. Praticamente disabitato lascia nel passeggiarvi dentro, ove si può, una nostalgia inquieta, una docile pena. Sotto, il paese nuovo, con la piazzetta, i vari palazzi affacciati sui turisti che fanno mercato aperto.

Entriamo in una bottega che è solo un corridoio. Domando con l’occhio fisso su salsicce appese: Avete del marcetto?

Il banconista mi scruta dentro e mi dice quasi sottovoce che non ne ha indicandomi lungo il paese un negozio. Lo dice come se mi svelasse un segreto e io ci credo, mentre Carlo ha già acquistato due pieghe di salsicce, dicendomi: una ciascuno. Ci dirigiamo verso il negozio.. quando a due passi dalla bottega, un signore distinto, con lo sguardo lucido e il viso pallido, giovane nel portamento vecchio nella gentilezza e nel decoro, mi ferma con l’aria di conoscere la mia curiosità.

 - Perdonate la mia impudenza, ai vecchi è concesso tradire la distanza fra gli sconosciuti, cercate il marcetto ma dovreste sapere che da queste parti si chiama: u cace fraceche.

Il cacio coi vermi saltarelli è antichissimo come il paese o come la montagna. Oggi c’è una spiegazione del processo, dicono che una mosca, la Piophila Casei depone le sue uova nelle forme di pecorino spaccate o ferite o apertesi per sorte o per grazia. La sue uova maturano nel cacio e nascono vermi che si nutrono di solo cacio e diventano parte del cacio. E’ vero, ma forse non sapete che i pastori allevavano i vermi nutrendoli di latte fresco di pecora, così da allevatori di pecore si son fatti anche allevatori di vermi.

Non andate in quel negozio che vi hanno or ora indicato, è u cace fraceche turistico, che è mezzo cace e mezzo fraceche. Uscendo dal paese c’è una signora che gestisce un piccolo alimentare che produce il miglior cace fraceche di castel del monte. Andate a nome mio, io mi chiamo Alberigo.

Affascinato dall’affabile Alberigo lo guardo negli occhi come un figlio suo padre e mi spavento di tanta corrispondenza. Sto per prendergli la mano e stringergli il cuore e lui con un sorriso da bambino mi porge la sua destra e continua: 

ragazzi prima di andare seguite questa via di fronte, a poche centinaia di metri c’è una specie di garage con un ampio portone color ruggine ebbene suonate il campanello e certamente scenderà una vecchia signora, ella ha il caciocavallo più dolce del paese.

Alberigo sembra quasi scomparire alla furia di me e di Carlo. Tutto compiamo come Alberigo ci dice. La vecchia signora ci apre la sua dispensa che acceca la nostra visione. Centinaia e centinaia di meravigliose pere di caciocavallo stanno appese a travi di castagno, mentre su assi antiche di pesi grandi forme di cacio pecorino canestrato.

Tiriamo fuori il portamonete e facciamo incetta di pere e forme e usciamo con le borse piene e l’animo acquietato sebbene un ultimo e prezioso momento ci pregiamo di vivere: u cace fraceche.

Usciamo in macchina dal paese e mentre le ultime case ci salutano sulla sinistra incontriamo il piccolo alimentare indicatoci. Scendiamo e con foga entriamo dentro.

La signora al banco ci dice subito: volete il marcetto?
Rispondo – no, u cace fra ceche!

Si fa una risata. Continuo dicendo che Alberigo ci ha consigliato. Lei si scioglie in un dolcissimo sorriso che ha l’intensità d’un antico amore. Subito si adopera al ben servire. Chiama le due figliole e ce le presenta come se fossimo loro pretendenti.

Carlo si inchina e si lancia in un baciamano proferendo: Encandado.

Le guance rosee delle ragazze s’infiammano d’un rosso ciliegia e la madre che assiste alla scena si riassetta un poco il seno e dice: quanto ne volete?

Ne acquistiamo un chilo, la signora ce lo confeziona davanti a noi in un contenitore di plastica trasparente, ha l’aspetto di un gelato alla crema non solo per il colore giallo oro, anzi avorio antico, ma soprattutto per la consistenza.
Ne sento l’odore è un’esplosione di sensazioni, una deflagrazione di esperienze, una battaglia di dolce e amaro, una specie di follia del cacio, se posso ardire all’iperbole
.

foto parks.it

Sulla punta della lingua pare che sia innocuo, poi si profonda in una turba piccante e ampia di pecorino il più esplosivo pecorino mai assaggiato. Riprendiamo strada verso un pranzo, in qualche ristorante tipico, e da questo momento in poi, con l’odore del marcetto che si propaga dentro l’auto e che si fonde con gli altri prodotti acquistati, inizia una nuova storia, un nuovo capitolo di una giornata che diventa pian piano interminabile...

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