Quali saranno gli
effetti sull’agricoltura – settore strategico, di importanza
fondamentale per gli equilibri mondiali - e sulla politica agricola
comune (PAC)? E’ vero che la Politica Agricola Europea è uno spreco
per i consumatori, e che l’ingresso dei 10 paesi ci costerà ancor di
più? E che la nostra agricoltura subirà i colpi della concorrenza
dell’est? Su questo attualissimo tema l’Accademia
Nazionale Agricoltura ha ospitato la conferenza del prof.
Andrea Segrè,
docente di Politica Agraria all’Università
di Bologna, economista tra i più esperti sull’est europeo.
Sul primo punto, il prof. Segrè ha fatto notare che
il bilancio comunitario rappresenta circa
l’1% del Pil europeo; di questo, lo 0,43% è assorbito
dall’agricoltura. Fra dieci anni tale percentuale calerà allo 0,33%:
una quota veramente modesta se paragonata al ruolo economico,
sociale e ambientale dell’agricoltura nei Paesi membri, vecchi e
nuovi.
Sul secondo punto: nel recente passato è stata attuata una politica
di aiuti verso le strutture agricole dei paesi futuri membri
dell’Unione: a fronte di tale investimento rilevante, ci dobbiamo
aspettare una maggiore competitività. “Ricordiamo – spiega Segrè
-che la preadesione è stata finanziata con il programma Sapard (529
milioni di euro all’anno fra il 2000 e il 2006) affinché i candidati
raggiungessero lo status (acquis) comunitario nei settori governati
dalla Pac. Certamente il livello qualitativo dei prodotti
est-europei e le condizioni igieniche garantite su tutta la filiera
non sono assolutamente paragonabili a quelle dei nostri mercati. Ma
fino a quando sarà così? Quando, cioè, le risorse che abbiamo messo
a disposizione per la modernizzazione delle agricolture di quei
Paesi avranno effetto e dunque la concorrenza intra-comunitaria
aumenterà?”
Una maggiore competitività non è però necessariamente un male. Il
vero problema è invece che la spesa per l’agricoltura non aumenta:
l’esborso economico della PAC è ancora molto basso (nell’esercizio
2002/2003: 44 miliardi di euro) rispetto ad altri settori
dell’economia. La programmazione finanziaria 2007-2013, riducendo di
fatto le spese agricole dell’Ue, ci mette in una condizione
particolarmente negativa. L’accordo raggiunto al vertice europeo di
Bruxelles nell’ottobre del 2002, preceduto dall’intesa
franco-tedesca, ha imposto un tetto al bilancio agricolo. Dunque: se
la torta rimane uguale ma i commensali aumentano, le proporzioni
delle fette cambiano. E pertanto le condizioni nelle quali dovrà (e
potrà) svilupparsi l’agricoltura dell’Europa a 25 saranno
profondamente diverse rispetto al recente passato. Bisogna tenerne
conto e non basta dire, seppure giustamente, che in termini assoluti
la spesa agricola nel bilancio comunitario è proprio irrisoria.
Quindi il principale disegno da portare
avanti, per uno sviluppo equilibrato della grande Europa agricola, è
razionalizzare la spesa agricola. Una possibilità in
questo senso è che i singoli stati membri decidano di cofinanziare
il bilancio comunitario, ma al momento la coesione fra gli stati non
è molto forte e non si vuole investire.
Altro punto “caldo” è l’adattamento della
PAC (politica agricola comune) ai nuovi stati membri.
Fino ad oggi questa è stata l’unica pratica di governo comune e ha
assorbito molte risorse. Ora bisognerà tenere conto delle realtà
specifiche di questi stati, tutti con una storia a sé, e modificare
le direttive della PAC con regolamentazioni regionali.
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