VIAREGGIO. Siamo di là dal molo, sul Vialone di Levante, dove un giovane pieno di passione ha aperto a settembre un rifugio per i cultori del vino. "Il Tirreno" lo ha intervistato...
Stiamo parlando di Giordano Bruno e del suo patron Stefano Bergamini. Il primo intervistato per questo nostro viaggio fra i signori del vino della Versilia, terra senza vigne (a parte le poche, preziose quanto rare di Strettoia). Tante piccole domande per tirare fuori queste storie di bottiglie e di «tappi, non parole».
Come ti sei avvicinato al mondo del vino.
«Grazie ad un amico. Avevo 20 anni, mi piaceva la birra. Una sera stappammo una boccia e fu l'inizio della fine».
E il primo lavoro?
«Dopo sei anni di bevute ho iniziato con un chiosco in pineta. Una buona scusa per affinare il palato insieme agli amici. Più bevi, più impari. Poi è arrivato l'Eresiarca ed ora Giordano Bruno».
Con quale etichetta hai iniziato questa avventura?
«Un indimenticabile Rosso di Tasca d'Almerita. Oggi troppo opulento, appiattito su un mercato che beve meno e cerca l'emozione immediata».
Cosa ti trascina?
«L'ideale è fare soldi attraverso la passione. Quando lavoro voglio divertirmi».
Perché si beve?
«Il 20% delle persone lo fa per soddisfare un desiderio, l'80 per moda».
Come si beve in Versilia?
«Ci si avvicina al vino nei momenti di svago. Poi c'è la curiosità e si fa amicizia con Brunello e Rosso di Montalcino. Segue il filtro delle guide. All'ultima fase arriva chi ascolta solo il proprio gusto».
Il giovane ed il vino.
«E' intimidito e si lascia impressionare da nomi, bicchiere, servizio. Si rilassa con un Morellino ma appena proponi qualcosa di diverso si sente sotto esame».
Il tuo rosso ideale?
«Due: Barbaresco e Barolo. Potenti ma sottili, testardi ma sempre eleganti. Il loro fascino sta nella maturità».
Il bianco?
«Verdicchio, Greco di Tufo, i francesi della Borgogna».
Il vino da dessert?
«Il Passito di Pantelleria, la Malvasia delle Lipari fino ai Sauternes e agli Eiswein».
E i francesi?
«Mas de Daumas Gassac, a base di Cabernet ed altri vitigni a dimostrazione che si può fare un gran vino con uve diverse».
E gli americani?
«Peccano di leggerezza e digeribilità. Troppo simili».
E il Nuovo Mondo?
«Come per gli Usa, con una punta di grandezza nel Shiraz che personalmente non amo».
Un vino che ti ha deluso.
«Il Casalferro del Barone Ricasoli. Molto buono ma incapace di invecchiare».
Quale superalcolico?
«Rhum Agricole, Antille».
Cosa significa lavorare in Toscana?
«Imparare a vendere al meglio le risorse culturali e naturalistiche della nostra regione. Vino in primis».
Il modo ideale di bere?
«In compagnia. Di fronte ad un bicchiere riescono a confrontarsi anche le persone più lontane».
Quale vino per conquistare una persona?
«Per lavoro un Merlot: facile al palato. Per amore ciò che mi piace in quel momento perché devo condividere i miei interessi».
Il ristorante preferito in Versilia.
«Maurino a Pian di Mommio. Pino per il pesce. Il Poveromo di Pruno perché mi sento a mio agio».
Un vino lucchese.
«For Duke di Fuso Carmignani, dalla beva umorale come chi lo produce».
Uno spumante.
«Ferrari Riserva del Fondatore. Prima di essere spumante è un grande vino».
Un'etichetta emergente.
«Faro Palari. Un rosso siciliano che sa invecchiare e esce dai soliti schemi»
Consiglio ad un astemio.
«Smettere immediatamente di esserlo. Il vino è un piacere, perché rinunciarvi?»