Alla scoperta delle ultime trattorie milanesi che conservano il fascino di un’altra epoca. Una cucina creativa ed economica, dai rostìn negàa alle rane, dai brusc ai mondeghili.
Trovare una trattoria dove gustare un’autentica cucina milanese è un’impresa che vale la fatica che comporta: ne sono rimaste poche ma buone, gloriosi baluardi dalla storia secolare. Ultima, in ordine di tempo, a capitolare è stata la celebre Cassina de Pomm, cui Carlo Porta dedicò nel 1809 il Brindes per on disnà che salutava la sconfitta austriaca ad opera di Napoleone. Malgrado l’antica origine dei locali, la cucina milanese in trattoria ha storia recente: nelle osterie del passato si mangiavano pochi piatti, come spiega Giuseppe Villa, erede di una dinastia di chef meneghini: i cuochi lavoravano nelle famiglie e nei circoli esclusivi, mentre in trattoria si andava per bere e stare in compagnia.
Le osterie di Milano iniziano a far davvero cucina nell’immediato dopoguerra e così diventano di moda: ci si ritrovano, cantautori, cabarettisti e gente di teatro e capita spesso di assistere a spettacoli improvvisati attorno a una bottiglia di barbera, tra frizzi e lazzi di commensali sedotti dagli osti allegramente burberi. Sono anni d’oro che finiranno con il boom delle pizzerie e dei piano-bar.
Resta, immutato seppure sempre più raro, il fascino della trattoria milanese, che celebra in cucina gli ingredienti del territorio: burro (fino agli anni ’60 l’olio era di fatto sconosciuto), grana, riso, carni, frattaglie, pesce e rane.
Primo piatto per eccellenza è il risotto, preferibilmente giallo di zafferano. Il risotto è una specie di manifesto ante litteram dello slow-food: la preparazione richiede studiata lentezza e passa attraverso un’alternanza di squilibri di gusto. Solo a cottura ultimata, infatti, la dolcezza del burro e della cipolla soffritta, l’agro del vino, e i sapidi aromi del brodo raggiungono un’armonia finale, sottolineata dal grana (padano).
In attesa del risotto, sulle linde tovaglie a quadrettoni, si gustano nervetti con cipolla, salame e brusc , gli immancabili sottaceti. La cotoletta impanata e fatta rosolare (non friggere!) nel burro è piatto sontuoso: le alternative sono la veloce frittura piccata (scaloppine al limone e prezzemolo, tre minuti di cottura in tutto), la frittura di maiale (soffritto di cipolla, lonza, salsiccia e fegato), i rostìn negàa (nodini di vitello glassati nel vino) e il brasato al vino rosso stufato per ore a fuoco lento.
La cucina milanese è economa: sfrutta gli avanzi di carne per gustose polpette (mondeghili) e cerca la convenienza sui banchi del mercato. Se è giorno di trippa fresca si avrà minestra di fogliolo ( foijoeu ), se ci sono frattaglie, rognone trifolato e animelle al burro, se è tempo di luertìs (luppolo selvatico) si farà la frittata. Il venerdì di magro si rispetta con merluzzo, fritto o in umido, e pesciolini e rane d’estate. Si termina con dolci semplici ma robusti come lo zabajone, la crema d’uova ( cavollatt ) e la Charlotte con mele e uvette.
Insieme a queste suggestioni culinarie, oggi si cerca l’atmosfera delle salette dai vetri appannati e il tintinnare dei bicchieri sul vassoio. Ma où sont les "polpettes" d’antan ? La risposta è in una manciata di indirizzi, pochi, ma di sicura soddisfazione ( vedi box ).
Alex Guzzi