Una nomination
raggiunta grazie al merito di aver impostato correttamente il
rapporto tra giornalista,
critico e
comunicatore del vino: ''Sono tre mestieri simili ma
molto diversi perché il primo racconta il vino e i produttori, il
secondo valuta scientificamente il prodotto, il terzo lo deve
promuovere'' – precisa Pignataro
– ''Purtroppo, in Italia, negli anni '90, queste tre figure si sono
intersecate creando non poca confusione di ruoli, penalizzando così
soprattutto gli appassionati e i consumatori''.
''In questi anni poi ho insistito con grande caparbietà sui vini del
Sud – continua il giornalista – mettendo sempre avanti il nostro
territorio grazie a direttori come Paolo
Graldi, che ha imposto sul giornale il tema in tempi
davvero non sospetti (parlo del 1995!), e di
Mario Orfeo che mi hanno dato la
possibilità di esprimermi sul Mattino. Sono stato fortunato anche
perché mentre scrivevo le cose sono cambiate profondamente: da 30 a
260 aziende, da 300 a 1600 vini, da 5 a 16 doc, da zero a tre docg”.
Finora nessun
giornalista napoletano era stato mai nominato all’Oscar del
Vino. Napoli si sta forse scrollando del marchio di città di
sola pizza e sfogliatella? |
Il problema
è che la percezione del mondo agricolo tra i giornalisti è
molto più arretrata di quella dei lettori. La maggior parte
dei giovani sono affascinati dalla cronaca e dello sport, ma
oggi per fare strada in questa professione è necessario
specializzarsi, diventare buoni esperti perché non ci sarà
mai più la possibilità di entrare in un giornale in maniera
generalista come accadeva a noi. |
La cosa
straordinaria è che l'agricoltura e la viticoltura fanno
reddito per tantissime famiglie e immagine per molti
territori, ma sono ancora pochi giovani che hanno capito l'importanza
di specializzarsi per andare avanti. Molti
preferiscono fare gli schiavi a cottimo fino a 40 anni sui
campetti di calcio di serie C e di andare a trasmissioni tv
per “doparsi” psicologicamente. |
Per fortuna
le cose stanno finalmente cambiando: colleghi giovani come
Maristella Di Martino,
Francesco Aiello,
Paolo De Cristoforo,
Concita De Luca,
Pasquale Carlo,
Diletta De Sio
rappresentano ormai una certezza in Campania.
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Che ruolo ha
avuto la politica nell’economia vitivinicola campana? |
Negli
ultimi 25 anni la scena campana è stata dominata da due
personaggi: Bassolino,
che ha sublimato il “napolicentrismo”, e
De Mita, col suo deciso
insistere nel riequilibrare il rapporto fra aree costiere e
zone interne; da un lato la metropoli come motore e scena
dello sviluppo, dall'altro l'industria come vera risposta
all'arretratezza. I fatti dimostrano invece che Irpinia e
Sannio avrebbero dovuto seguire l'Abruzzo e credere
unicamente nella risorsa ambientale e rurale. |
L'esempio
del Cilento è illuminante: sul mercato globale
dei territori ha di gran lunga superato tutti nel
Mezzogiorno. Irpinia e Sannio
stanno recuperando grazie al vino, non perché
hanno promosso il territorio in quanto tale: non a caso sono
le meno infrastrutturate nella ricettività. Alcune persone
come Vito Puglia,
dirigente nazionale Slow Food, questi ragionamenti li hanno
sviluppati proprio quando Petrini
partì con Arcigola. |
Diciamola
tutta: il ceto politico e intellettuale che ha governato la
Regione ha sempre considerato il mangiare e il bere atti
residuali e poco importanti. Hanno pesato, certo, le gravi
emergenze, terremoto e criminalità organizzata. Chi poteva
immaginare che un ettaro a Taurasi vale più di una casa
quando appena 20 anni fa si abbandonava la terra?
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Marisa Cuomo è
l’unica campana nominata all’Oscar del Vino col suo Costa
d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2003. Questa assenza di
aziende campane è dovuta alla qualità del prodotto o
all’incapacità di venderlo? |
No, è un caso di questa
edizione. I vini della Campania
sono ipermedagliati ovunque. La Regione è molto
trendy. Poi voglio ricordare che tra le nomination c'è anche
Bruno De Conciliis nella
categoria enologi.
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Le continue
differenze tra le varie guide di vino sono dovute alla
professionalità dei degustatori o anche alle “conoscenze”
con le aziende? |
In fondo le
differenze tra le guide non sono affatto poi così profonde.
Anzi, credo che il limite “politico” della critica enologica
sia una certa uniformità nel cercare rossi concentrati,
ipermuscolosi, fruttati, di immediata piacevolezza. Oggi c'è
un ripensamento, tornano di moda i
rosati, si riscopre il moscato e lo stile
conservatore con l'uso delle botti grandi. |
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Mario Vella
Fonte:
Campania su web
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