Due libri ricordano l'estro di Matteo Correggia
CANALE (Cuneo)
Era stato un pomeriggio di caldo, silenzi e sudore. Matteo Correggia tornava dalla campagna sul trattore, tra le colline, il sipario delle Rocche, i filari, la terra profumata dall’Arneis e da quel grande rosso figlio del Nebbiolo che si chiama Roero. Un ultimo lavoro, poi i bambini, la moglie, la cantina, le ore fresche della sera, i sogni da far crescere, ancora, sempre di più.
Era stato un attimo, disegnato dal destino più crudele: una scheggia di cemento, sparata dalla fresa del trattore, l’aveva colpito alla testa. Matteo era riuscito a trascinarsi verso casa e nell’aria era rimasta una supplica in dialetto, un suono grave, disperato, con la voce che sapeva quasi di morte. «Agiùtme», aiutami. Si era accasciato, il sangue a sporcargli i vestiti, le mani, anche l’anima. L’avevano soccorso, portato all’ospedale. Ma quel «Agiùtme» era stata l’ultima parola.
Matteo Correggia morì il 15 giugno del 2001. Aveva 39 anni e lasciava un’infinità di grandi vini fatti crescere con le sue mani, inventati dalla sua fantasia, maturati al sole, al coraggio, alla voglia di rischiare. Era il primo, non l’unico. Il più bravo, forse, in una terra che voleva diventare una scelta orchestra e lui ne era il direttore o il primo violino.
Con Matteo erano in tanti nel Roero, sempre di più e volevano vincere tutte le sfide possibili, e giocavano a fare il rosso più buono, l’Arneis da premio, le cose più belle. E intanto inventavano cultura e moltiplicavano l’allegria, accendevano i falò e spegnevano la nostalgia, tra meditati silenzi e rumorose amicizie, colori vivaci, sapori forti dell’autunno, i piatti di Davide Palluda, il labirinto di cantine tra i Ferrio e i Gallino, i Damonte e i Monchiero, gli Almondo, cittadini onorari di una ideale Macondo del Roero. E poi c’era lui.
«Era un grande, i suoi vini un monumento alla gente, alla terra, alle colline. Alla sua riservatezza. Matteo aveva intuito, sapeva guardare dove gli altri forse non riuscivano a vedere. Aveva genio, fantasia, determinazione», dice Luciano Bertello, presidente dell’Enoteca regionale del Roero, che Matteo ha visto crescere, consacrarsi e morire.
E che oggi, otto anni dopo, tornerà a rivivere nella sua terra, per ricevere il ricordo degli amici, il grazie degli «allievi», le lacrime e la nostalgia della moglie, il sorriso incerto dei due bambini, il rumore sottile che fanno le pagine da sfogliare, la filigrana delle fotografie, gli applausi che non mancheranno.
Dalle 17,15 nel parco del castello Malabaila di Canale, due libri parleranno di Matteo Correggia, narreranno la sua avventura nel mondo del vino e sul palcoscenico della vita e del dramma, descriveranno il suo Olimpo e quello degli altri.
Due libri: «La cometa del Roero», (Veronelli editore) di Sergio Miravalle, giornalista de La Stampa. Biografia contadina e album di una terra che forse solo Miravalle poteva scrivere, che di vini e chi li fa conosce quasi tutto. E «Una storia delle colline» (Federico Motta editore) di Alessandro Avataneo (con fotografie di Carlo Avataneo), racconto per immagini, galleria di uomini, voci, sensazioni. Dei libri, oltre agli autori, parleranno Carlo Petrini, Renato Dominici e Gian Mario Ricciardi, che Matteo hanno sostenuto, ammirato, amato. Mai come Ornella, la moglie: è lei che ora ha continuato la strada delle vigne e delle bottiglie, del «Ròche d’Ampsej» e de «La Val dei Preti». Lei Ornella, che cinque anni fa confidava: «A volte ho paura che il ricordo di Matteo svanisca. Non ho smesso di comprare vigne: era il suo stile, la sua filosofia. E quindi lo faccio anche io. Quel mondo mi è entrato nel sangue. Un giorno sono andata nelle vigne storiche di Matteo, ho visto che da un filare c’erano le foglie nuove. Mi sono messa a piangere, quelle foglie erano il mio presente, il mio lavoro, il mio futuro».
(fonte: LaStampa )
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