02.12.2001 | Prodotti Tipici

Per difendere la vera pizza serve prima conoscerla.

Il mercato si allontana in modo sempre più netto da quella semplicissima combinazione di pasta ben lievitata, pomodoro e fiordilatte che rappresenta una delle più belle tradizioni culinarie italiane.

La pizza classica napoletana è considerata, a ragione, uno degli elementi portanti della cultura partenopea, non solo dal punto di vista gastronomico. E infatti non toccate la pizza ai napoletani, sennò insorgeranno. Mi è capitato di dichiarare che la pizza rischia l’estinzione: subito si è formato un fronte diviso tra tradizionalisti e innovatori e si sono scatenate accuse, promesse e dibattiti, nonché l’immancabile sondaggio.



Chiariamo: ho paventato un rischio, non ho descritto una situazione tanto preoccupante da attivare presidi di difesa. Quelli di Slow Food vengono costituiti in situazioni d’emergenza: il formaggio Montebore non lo faceva più nessuno, i vitigni dello Sciacchetrà erano in stato d’abbandono. I toni allarmistici che hanno accompagnato la questione sono dunque un po’ esagerati, anche perché ciò che ha fatto intervenire il gotha dei personaggi legati alla pizza di Napoli e dintorni è più che altro l’eccessivo risalto giornalistico dato ad una frase che aveva senso nel contesto in cui era inserita. La tesi è questa: se la pizza classica è uno dei simboli culturali di Napoli, perché lasciar passare, senza parlarne, il fatto che il mercato si allontana in modo sempre più netto da quella semplicissima combinazione di pasta ben lievitata, pomodoro e fiordilatte che rappresenta una delle più belle tradizioni culinarie italiane?



Oggi la s’imbottisce d’ogni ingrediente possibile, le più inenarrabili combinazioni trovano entusiasti consumatori e nell’industria fast food americana ci sono catene che fanno un prodotto anni luce dalla vera pizza. I ritmi della vita veloce hanno travolto anche la pizza che avrebbe bisogno di una mezza giornata per lievitare, che dovrebbe utilizzare la stessa pasta acida senza lieviti aggiunti del pane ­ quello originale - e che dovrebbe cuocere in forni a legna per uscirne con il suo bel cornicione alto, morbida e leggera, non croccante e indigesta. Per carità, ribadiamo il principio secondo cui ognuno è libero di mangiare cosa vuole, ma la riflessione sorge spontanea: se «pizza» è in qualche modo sinonimo di napoletanità e italianità, è giusto far conoscere a tutti che cosa indica il termine, c’è un valore culturale enorme che non può essere dimenticato. Per capire cosa vuol dire pizza andate a Napoli «Da Michele», dove fanno soltanto la vera napoletana, la margherita, la marinara e il calzone. «Da Michele» resiste la tradizione della pizza come cibo di strada, a prezzi onestissimi, per il popolo. Lì usano il fior di latte, la pasta per la sera viene preparata al mattino e viceversa, non viene manipolata fino alle ridicole esibizioni acrobatiche da baraccone. Resiste anche la tradizione di portare gli avanzi per farsi farcire la pizza, che viene poi piegata in quattro per essere consumata in piedi. E come « Michele», ce ne sono molti altri. Non c’è bisogno di un Presidio o di quant’altro per difenderla, è semplicemente necessario imparare a riconoscerla e a comunicare, soprattutto all’estero, che cos’è la vera pizza, perché è un simbolo e questo va difeso. È un significato che rischia di sparire, non un prodotto.

FONTE: LA STAMPA



SLOW FOOD

px
px
px
px
px
Web agencyneikos
Entra in MyVinit Chiudi
Email
Password
Mantieni aperta la connessione.
Non sei ancora registrato?