La sera di San Giovanni è una festa squisitamente parmigiana in una cornice di sana allegria
Secondo la tradizione il misterioso balsamo allontanerebbe i malanni
Ritorna, quasi fosse un rito d'obbligo del solstizio d'estate, in concomitanza della festa della Natività di S. Giovanni Battista, l'usanza di prendere durante la notte del 23 giugno la misteriosa «rozäda», associata ad un piacevole approccio gastronomico, composto di «tordéj d'erbetti, foghè in t-al butér fresch e sughè con al formaj vecc».
Si tratta di una remota usanza, assai cara ai parmigiani e non solo ad essi, infatti al dire della professoressa Anna Ceruti Burgio (G.P. 22-6-1993) essa si trova diffusa in tutto il mondo, discendendo da antichissimi riti. In Normandia ci si inumidiva di quella rugiada notturna per ringiovanire la pelle e in Russia le donne scendevano vestite nei fiumi, stringendo un pupazzo fatto di erbe e fuscelli. Anche a Roma si usava uscire la sera a cenare fuori e a vagare nei campi bagnati di rugiada; inoltre nella capitale in tale occasione aveva luogo una festa durante la quale ricchi e poveri, padroni e schiavi si recavano insieme nei templi della dea Fortuna per invocarne la protezione. Nel medioevo tale notte era ritenuta la notte delle streghe, durante la quale si accendevano falò e si faceva baldoria in attesa del loro passaggio; durò a lungo tale abitudine, dando luogo anche ad inconvenienti, segnalati da alcuni editti del 1753 e 1755, tanto da arrivare alla soppressione della festa, da parte dei funzionari del Regno d'Italia nel 1872, i quali favorirono l'aspetto essenzialmente gioioso attraverso canti e stornelli.
L'influenza delle streghe derivava anche dal collegamento della figura di S. Giovanni Battista con la ben nota vicenda di Erodiade, infatti a questo personaggio biblico veniva attribuita l'incombenza di fare da guida alle streghe vaganti nell'universo, in cerca di vittime, su cui sperimentare i loro occulti poteri. Per questo la festa è ritenuta d'iniziazione da quanti prestano fede a queste credenze.
Ad onor del vero, oggi molti più che al personaggio biblico badano al gustoso apparato gastronomico che anno dopo anno va consolidandosi; in particolare i parmigiani più che vagare con la mente negli spazi irreali e nebulosi delle streghe preferiscono in questa occasione tenere i piedi per terra o meglio sotto la tavola, al punto di ritenere questa festa squisitamente parmigiana.
La notte delle streghe non preoccupa più di tanto le allegre comitive di amici che si apprestano a trascorrere una serata diversa, scegliendo tra le tante offerte in città e provincia. Tra questi luoghi deliziosi e sereni ho davanti agli occhi un luogo ai piedi della collina della Val Parma dove un gruppetto di valide rezdore, collaudate da lunga esperienza, ogni anno a Lesignano Bagni si accingono ad allestire il meglio, per una serata da ricordare a lungo, scegliendo la miglior ricotta nei caseifici della vallata, burro ed uova fresche, parmigiano stravecchio e le erbette dell'orto; il tutto in seguito elaborato dalle loro stesse mani, senza dire dei vini e dei salumi dei colli quale signorile accompagnamento.
Altrove, cioè in altre regioni, degli antichi riti è rimasto solo qualche debole traccia dei falò da bruciare assieme a pupazzi di stracci e a qualche pratica divinatoria a base di erbe ritenute propiziatorie.
Fino ad oggi l'origine dei tortelli non è ancora documentabile, ma si suppone che l'input sia derivato dalla necessità, in seguito all'obbligo posto dalla Chiesa di santificare le Vigilie delle più grandi festività con l'astinenza dalla carne. E' toccato pertanto alle rezdore inventare per i propri familiari un cibo alternativo, sostanzioso e senza ingredienti di carne, con l'utilizzo dei prodotti a portata di mano e casalinghi. Sarebbe in tal modo nato questo piatto meraviglioso ed intramontabile!
A consolidare l'usanza contribuirono fino a pochi anni fa (in certi paesi usa tuttora) i casari con l'offerta ad ogni famiglia di quel tanto di ricotta occorrente per realizzare anche nelle case più povere il tipico piatto di fine giugno. La confezione dei tortelli comportava un rituale, ovunque fondamentalmente identico: la sfoglia con farina bianca, uova e sale, ottenuta a forza di braccia e che una volta ben amalgamata e di un bel color giallo-oro assumeva la funzione di morbido forziere del classico ripieno a base di ricotta, erbette, parmigiano, burro ed un pizzico di noce moscata.
I tortelli, una volta calati delicatamente uno per volta in un bagno di acqua bollente leggermente salata, venivano e vengono guardati a vista nel loro tranquillo veleggiare durante la cottura lenta e continua, per evitare che si svuotino. La stessa delicatezza la si usa per pescarli col mescolo forato, per non infliggere loro dannose ferite.
Così fumanti ed odorosi vengono aggiustati nel tegame ed ogni strato puntualmente irrorato da burro e ricoperto da parmigiano grattugiato. La fragranza che sprigiona da tutti questi elementi è di per sé già un invito a servirsi con abbondanza, tenendo conto che essi amano la compagnia del vino frizzante e sincero. In ogni caso, coniugati o no con la rugiada di S. Giovanni, i tortelli rappresentano un piatto tipico della gastronomia nostra.
Il cerimoniale proprio della notte della «rozäda» prevede anche una cornice di sana allegria da sprigionare sotto lo sguardo delle stelle, stagione permettendo, su di un prato, a contatto diretto con la natura, sempre così generosa ed accogliente. La tradizione vuole che si faccia tardi oltre la mezzanotte per ricevere quel misterioso balsamo che secondo la popolare credenza allontanerebbe i malanni e porterebbe fortuna.