La produzione di vino cotto รจ nota fin dai tempi remoti.
Nel 191 a.C. viene citato da Plauto, nella commedia "Pseudolus", fra le bevande da mescere in un lauto banchetto.
Nel I° sec d.C. Columella, nella sua opera "De Agricultura", libro XII, descrive: "... fino a diminuzione di un terzo si cuocia del mosto di sapore dolcissimo; quando è cotto si chiama defruntum. Esso appena raffreddato si trasferisce nelle botti e si ripone per usarne".
Plinio il Vecchio, nella sua storia naturale, riporta quanto già detto da Plauto e classifica il vino cotto tra le più ricercate bevande dolci prodotte in Italia, affermando che: "... i cotti hanno il sapor loro e non quello del vino".
Nel 1534 Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, esalta la bontà del vino cotto ritenendolo di qualità tale da poter essere utilizzato nel rito sacrificale della Santa Messa.
Anche Andrea Bacci nel suo testo "De naturali vinorum histoira di vinis italiae", del 1596, nel capitolo XV del Libro I, descrive la produzione del vino cotto e della sapa. I due autori sopracitati fanno riferimento al vino cotto dell'area Picena.
Negli ultimi anni numerosi autori citano il vino cotto in diversi scritti, decantandone certe proprietà. In un testo del 1971 Mario Soldati descrive, di passaggio ad Ascoli Piceno, l'assaggio di un vino cotto di 60 anni prodotto dall'Ing. Cimica, pur con una certa diffidenza: "... come vino da dessert lo trovo ottimo, di un bel colore rosso mattone e riflessi di oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido nella sua moderata dolcezza, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseabonda di tanti passiti o marsalati." In pratica secondo lo scrittore c'era qualcosa di affascinante, di profondo rustico e montano in quel vino cotto.
Anche Guido Piovene e Luigi Veronelli esaltano la gradevolezza del vino cotto, anzi quest'ultimo lo descrive: "vuole meditata attenzione che tu non ceda all'impulso primo, e l'intenda non più come vino, ma come ricetta. Ti si fa allora subito gradevole; ci senti viva la tradizione, il bisogno di una contadina riserva".
La produzione di vino cotto generalmente è effettuata in tutti i territori vitati, specie in quelli pedemontani e montani dove la coltivazione della vite si estendeva fino ai 1000 metri di altitudine; per di più si coltivavano viti che a quelle altezze non garantivano assolutamente apprezzabili contenuti zuccherini tant'è che per migliorare i mosti, come riferisce nel 1875 il De Bosis: ".... si intendeva dai più fino a questi ultimi tempi di correggere i difetti di qualità dei mosti mediante cottura. Così mentre mal accortamente si preferiva per il mosto la quantità sulla qualità, per trasmutarlo in vino si riduceva la prima con dispendio di combustibile, e producendo una bevanda di gravezza allo stomaco per l'incompleta fermentazione e facilmente inebriante".
Quanto detto era inevitabile quando la base ampelografica era per lo più costituita da uva a basso contenuto zuccherino come il Chiapparone, Empibotte, Galloppa, Pisciavi, Uva del Cane, Uva della Madonna ed altri.
Qualche anno prima del De Bosis, verso la metà dell'ottocento, Raffaele Sersante e Francesco De Blasis descrivevano i metodi per la preparazione dei vini cotti introducendo tra i vitigni il Trebbiano, il Montepulciano, la Malvasia e il Montonico (spesso con il termine Trebbiano si indicavano altri vitigni quali la Passerina, il Pecorino, il Maceratino ecc..).
Come già detto il vino cotto è nato per rispondere alle esigenze delle popolazioni disagiate delle zone pedemontane e rappresentava il companatico di chi non possedeva uve nobili da vinificare né luoghi adatti alla maturazione delle uve e fermentazione dei mosti. Quelle di peggiore qualità (ma sane) non sufficientemente mature ed a basso contenuto di zuccheri seguivano il diagramma di flusso (grafico 1), che ancora oggi rimane quale metodo di produzione con utilizzo però di uve di buona qualità ed al giusto grado di maturazione.
Dopo la pigiatura e la pressatura, il mosto viene messo in caldaia, generalmente di rame, dove subisce la cottura a fuoco diretto che determina una forte produzione di schiuma dovuta per lo più alla denaturazione delle proteine ed idrolisi delle pectine. La schiuma che si produce viene eliminata man a mano che si forma, con delle schiumarole.
La cottura, determina la caramellizzazione di parte degli zuccheri con formazione del colore ambrato, la distruzione dei microrganismi, la distruzione degli aromi varietali, ecc. e, come conseguenza della riduzione del volume, un incremento dei componenti del mosto quali zuccheri ed acidi in particolare. La riduzione del volume è compresa tra il 20 e il 50 % del volume iniziale, in funzione della composizione dell'uva impiegata e della tipologia del vino cotto che si intende produrre (secco-dolce).
Inoltre una parte delle proteine, ad alta temperatura, si lega con i tannini formando dei complessi proteici che precipitano.
Completata la cottura, il mosto decantato, ma ancora caldo, viene travasato in botte di legno di castagno o rovere. Per facilitare il processo fermentativo spesso si riaggiunge una piccola percentuale di mosto fresco (5 – 10 %).
La fermentazione si sviluppa lentamente e, generalmente, i travasi non vengono effettuati (o molto distanziati tra loro) in quanto il vino cotto è povero di sedimenti fecciosi.
La non aggiunta di anidride solforosa spesso comporta un valore elevato di acidità volatile. Il vino, in queste condizioni, sarà consumato l'anno successivo o lasciato maturare per diversi anni.
Negli anni successivi la botte viene colmata con nuovo mosto cotto. I prolungati periodi di invecchiamento portano a caratteristiche organolettiche particolari sia dal punto di vista del colore che del sapore, completamente diverse rispetto ai vini crudi.
( Fonte www.vinocottodelpiceno.it )
P.S. ) Ricordo Il festival del vino cotto, consultabile al link :
http://www.cronachemaceratesi.it/2013/08/20/loro-piceno-in-festa-per-il-vino-cotto/366979/
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