L'editore condannato a pagare 15 mila euro di risarcimento ad un produttore di Barolo per le frasi inutilmente offensive che descrivevano un suo vino del 1997.
Questa notizia può far discutere a proposito di libertà di critica e dei suoi limiti.
Mi ha ispirato questo .
"Un tenace e schivo produttore di Castiglione Falletto non accetta il giudizio negativo della degustazione di un suo vino pubblicata su una rivista. Oggetto del contendere un Barolo del 1997, prodotto da Enrico Scavino. La rivista «Bere» lo recensì nel maggio del 2004 e lo definì «una grande delusione». La bocciatura era netta: «mancanza di profumo, come annusare la risciacquatura di un vaso di marmellata appena finito» e ancora «alcol alle stelle a coprire ogni aroma»...«un profumino da acquetta lasciata in un piatto da una fetta d'anguria...» Insomma «più che un Barolo Riserva, un Barolo di riserva». Pubblicato anche lo scontrino d'acquisto: 115 euro. Sulle stroncature molte penne del settore si sono fatte un nome, ma Enrico Scavino non ci sta e al diritto di replica preferì la citazione a giudizio degli eno-giornalisti, presentata dall'avvocato Roberto Ponzio di Alba. Dalla redazione respinsero ogni dietrologia di sollecitazioni di raccolta pubblicitaria e commentarono che il grande Veronelli, una volta, di un vino scrisse perfino che sapeva di sperma.
Dopo sette anni la sentenza del tribunale civile di Padova è stata depositata. Quella stroncatura è stata giudicata «inutilmente offensiva» e l'editore dovrà pagare 15 mila euro di risarcimento. Nel frattempo «Bere» non esce più. C'è la rivista «Il mio vino». Dal quel Barolo 1997 sono passate 14 vendemmie. A chi ne avesse ancora una bottiglia l'ardua e definitiva sentenza".
Ed ecco il testo della notizia pubblicata su La Stampa edizione di Cuneo a firma di Roberto Fiori.
Quindicimila euro di risarcimento danni per aver criticato in modo offensivo il Barolo Rocche dell'Annunziata Riserva 1997 della cantina Paolo Scavino di Castiglione Falletto. È la condanna inflitta dal Tribunale di Padova al direttore responsabile delle riviste «Bere» e «Il mio vino», Gaetano Manti, che nel 2004 aveva pubblicato nella sezione «La grande delusione» una durissima recensione del vino fiore all'occhiello del barolista Enrico Scavino, al top nelle guide mondiali e venduto a più di cento euro a bottiglia.
«Come annusare una risciacquatura di un vaso di marmellata appena finito... Quello che si è sentito, in maniera netta, è il profumo dell'acquetta lasciata in un piatto da una fetta d'anguria» erano i toni della stroncatura. «Hanno francamente esagerato e sono contento che anche il Tribunale mi abbia dato ragione - commenta Enrico Scavino -. Le critiche sono lecite e noi produttori le teniamo sempre in gran considerazione, quando sono motivate. Ma questa volta non mi sembrava giusto tenere la coda tra le gambe di fronte al massacro gratuito di un vino che ho curato con passione e di cui da sempre vado fiero. Spero che questa sentenza serva per dare più coraggio anche ad altri produttori».
Anche il legale rappresentante della cantina, l'avvocato Roberto Ponzio, è soddisfatto. «L'articolo - dice - superava ampiamente i limiti di una corretta critica giornalistica. La libertà di pensiero non può sconfinare in gratuiti attacchi personali: con espressioni prive di giustificazione si è voluto colpire l'immagine di un'azienda che gode di chiara fama nel settore enologico».
Amareggiato, invece, il direttore Manti: «Abbiamo pubblicato più di cento "grandi delusioni", con toni anche più duri, senza mai avere problemi. Mettere la sordina alla libertà d'informazione e di giudizio ci sembra una sconfitta, non un vanto. Ma rispettiamo la sentenza e non ricorreremo in appello: preferiamo chiudere qui questa triste vicenda ed evitare di gravare ulteriormente sulla mole di lavoro dei tribunali italiani».
( Fonte La Stampa )
Annotazioni
Sono convinto che questa sentenza farà discutere, ma personalmente la accolgo con grande favore. Troppo spesso si leggono sul web, oltre che sulla carta stampata, dei giudizi sommari e trancianti sul lavoro di aziende che impegnano denari, sacrifici e sudore, da parte di " improvvisati " addetti ai lavori. Personaggi che per il solo fatto di scrivere su un blog, o di collaborare a vario titolo con una guida e/o rivista, si sentono dei " Guru " della degustazione, arrogandosi il diritto di " stroncare questo o quel vino.
Personalmente, fin dagli inizi, non mi sono Mai permesso di scrivere male di alcun vino. Quando ne incontro qualcuno che ha dei limiti, scelgo di proposito di non scriverne affatto, mi assumo unicamente la " responsabilità " di segnalare a chi mi viene a leggere solamente quei vini che mi sono piaciuti.
Scommettiamo che da oggi molti " pseudo-degustatori-improvvisati " degli ultimi anni se ne guarderanno bene, prima di scrivere cose malevoli su di un vino ?
La sentenza di cui sopra ha segnato una strada e personalmente ne sono molto felice.
Roberto Gatti
Tag: winetaste, il mio vino, Gatti Roberto, critica enologica, degustatori, tribunale