20.03.2009 | Vino e dintorni Inserisci una news

Il troppo stroppia

Invia un commento

Chissà chi aveva avuto l’idea o chi era stato capace per primo di tradurre le sensazioni in parole? Sicuramente le reazioni che avvengono nel mosto, nelle sue fermentazioni e nell’affinamento del vino introducono sentori più o meno chiari di frutta, di fiori e di altre essenze naturali.

Questo fatto, la cui percezione si perde nella notte dei tempi, è stata una delle componenti dell’amore dell’uomo per questa bevanda di origine divina. Oltre ovviamente ai suoi poteri capaci di far dimenticare e di portare allegria e spensieratezza. Tutto andava bene fino a che si identificavano precisi aromi riconducibili a frutta e vegetali, facenti parte della vita di tutti giorni. Profumo di pesca, di pera, di pomodoro, di peperone, di rosa. Erano essenze che scaturivano immediate e che venivano percepite senza alcuna difficoltà da tutti coloro che alzavano il calice verso il dio Bacco.

 

Poi, lentamente, anche il vino divenne motivo di studio o, per meglio dire, occasione per primeggiare e forse, in alcuni casi, per soddisfare reconditi problemi esistenziali. I frutti di bosco si moltiplicarono e fece non poco stupore che i più grandi esperti del settore degustativo, che stavano aumentando a macchia d’olio con le prime guide specializzate e le scuole di insegnamento sensoriale, benché mai spostatisi dal patrio suolo, sapessero riconoscere perfettamente i quattordici tipi di mirtillo bianco della tundra d’Alaska, gettando nella costernazione i giganteschi Grizzly, che credevano di essere i soli depositari di quella millenaria tradizione. E non parliamo poi delle ventisette specie di more e di lamponi, tra cui quelle che erano esposte a sud, a sud-est, o che erano presenti su terreni calcarei, vulcanici, torbosi, silicei e via dicendo. Poco alla volta il vino divenne un vero e proprio dizionario di tutti i frutti di bosco esistenti al mondo, facendo sua addirittura la rarissima uva sultanina glaciale, esistente solo nella punta più a nord della penisola di Ross, in Antartide, in grado di produrre frutti solo una volta ogni sette anni. Quando questo inconfondibile aroma fece la sua apparizione nei dotti volumi esplicativi delle caratteristiche base del vino, gli ecologisti insorsero pensando alla raccolta piratesca di quel rarissimo frutto, unico cibo della starna grigia ormai in via di inesorabile estinzione. Furono messi a tacere facilmente con qualche cassa di vino francese di medio prezzo, ma dal nome altisonante.

 

Tuttavia si riusciva ancora a rimanere in un ambito abbastanza circoscritto e le persone comuni che ascoltavano erano completamente rapite dalle sconvolgenti e inebrianti spiegazioni degli esperti. Gente comune che a fatica capiva che la mora differiva impercettibilmente dal lampone, ma che taceva assentendo, in quanto si ricordava benissimo di quel povero ragioniere di Poggibonsi, che durante una spiegazione coinvolgente ammise di non aver mai odorato un mirtillo, né bianco, né nero, né a strisce giallo-verdi. Fu messo alla gogna per nove giorni, guardato a vista da seri figuri in divisa. Nessuno osò più fiatare e si racconta di gruppi numerosissimi di neofiti che vagarono tra le montagne in cerca disperata del frutto che tanto era costato al loro sfortunato e loquace collega. Peccato che eseguirono la loro ricerca in pieno inverno e finirono quasi tutti assiderati o incornati da severi e vendicativi stambecchi.

 

La lezione però servì, in quanto ormai le bacche rosse, nere o bianche erano diventate di conoscenza pubblica e tutti sapevano (o fingevano di sapere) le più sottili differenze tra pianta e pianta. Questo passo in avanti, vero o falso che fosse, scatenò l’ira degli addetti ai lavori, che videro lentamente colmarsi la differenza abissale che esisteva tra loro e la plebe ignorante. Iniziarono allora a spaziare verso profumi più complicati ed esclusivi. Si ricorda ancora la tragica fine di quel grande professionista di Vancouver che volle portare in sala degustazione un lupo vivo e vegeto per mostrare la somiglianza tra il suo pelo bagnato e sporco di torba e l’effluvio che usciva da un pinot nero dell’Oregon. Il lupo, dopo qualche guaito, si innervosì alquanto e si lanciò contro il dotto conferenziere, strappandogli naso e lingua con un solo morso e distruggendogli le sue armi migliori. L’animale venne abbattuto senza pietà, ma il grande degustatore finì a vendere gelati per le strade della città canadese. Molti l’accusarono di essere andato troppo oltre e di non essersi accontentato del ben conosciuto ed apprezzato pelo di volpe. Ma ormai la strada era aperta. Ed ecco così gli aromi più reconditi e misteriosi.

 

Fiore di cactus seccato all’ombra, terra marcia tartufata, tarma sopravvissuta al calore di una “stube” altoatesina, cimici tritate con basilico di Prà, aglio di Vessalico spalmato su marmellata di ribes. Ma non solo vegetali o animali. Si arrivò al fazzoletto dopo sei giorni di raffreddore da fieno,  alla cera immersa in liquido organico di capra, al comodino del nonno, dove il simpatico vecchietto era solito tenere il suo vaso per la notte, e così via. La gente ignorante rimase molto sconvolta e sconcertata, ma fu presto e facilmente indirizzata  verso questa nuova generazione di aromi, che avevano preso un chiaro sopravvento sui banali profumi di frutta e fiori. Chi osava nominare una pera od un geranio veniva deriso per giorni ed esposto al pubblico ludibrio. Non parliamo poi di chi si limitava a parlare di struttura, di acidità, di mineralità, di eleganza. Non era nemmeno più ammesso alle sedute pubbliche, se non legato ad un tavolo con la museruola ben stretta sul volto. Tutto proseguì tranquillamente, con pace di tutti e con grande soddisfazioni dei pochi depositari di quelle sensazioni ineguagliabili. Fino alla famosa degustazione tenutasi al termine di un simposio gigantesco a cui erano stati ammessi, dietro pagamento di una somma mostruosa, non solo il pubblico più ignorante, ma addirittura i produttori dei vini in degustazione. Questo segno di sublime democrazia fu deciso a seguito dell’enorme sicurezza in se stessi raggiunta dai luminari del vino, convinti di essere ormai inattaccabili come una corazzata tascabile tedesca dell’ultima guerra.

 

La degustazione andò avanti tra le piccole urla di compiacimento degli uditori e lo stupore dei miseri vignaioli che per la prima volta sentivano e capivano cosa mai avevano inserito nel loro succo d’uva. I più sensibili si misero a piangere, altri esclamarono platealmente di non averne colpa, una minoranza si suicidò per lo stress nervoso. La situazione, del tutto controllata dai degustatori che assordavano i sopravvissuti con termini via via più complicati, ebbe però un risvolto tragico  ed inatteso quando si trovarono faccia a faccia due dei più autorevoli professionisti del bicchiere. Nessuno poteva comunque lontanamente immaginare la piega che prese la discussione. Il bicchiere dei due “santoni” fu riempito con un famosissimo vino di un celebre produttore presente in sala, i cui occhi erano più spaventati che stupiti. L’annata era di quelle fantastiche e tutti si aspettavano una lezione magistrale.

 

Partì il primo, piccolo e rosso di capelli, che iniziò con “foglia di eucalipto invasa dalle larve di coccinella”. Il secondo, alto, calvo e allampanato, rispose con un sorriso: “aceto balsamico tradizionale di Modena lasciato al Sole per quindici giorni”. Il piccoletto sembrò lievemente contrariato ed esclamò: “cassetto del comò della zia contenente le calze di lavoro dello zio (noto per le sue rarissime docce)”. Il calvo ribatté con evidente stizza: “sugo di arrosto in cui è caduta l’acqua di risciacquo dei piatti”. Il rosso non riuscì a nascondere un ringhio lugubre: “sterco di cavallo calpestato da una mandria di mufloni sardi”. Il collega alto sembrò quasi piegarsi in due e poi urlò a squarciagola: “puzzola marinata in olio di sambuco rancido”. Il piccoletto cadde al suolo in preda a vere e proprie convulsioni. Il medico non fece però in tempo a salire sul palco. Il pubblico aveva cominciato a dar di stomaco ed a correre negli unici tre bagni dove si verificarono terribili duelli corpo a corpo, anche mortali, per conquistare la tazza del water.

 

Il produttore, soffocando anch’egli i conati di vomito, si lanciò invece verso i conferenzieri. I suoi occhi non erano più stupiti né spaventati, ma sembravano due carboni ardenti rubati direttamente dalla riserva di Satana. Estrasse con forza le loro lingue e le annodò con triplo nodo alla cinese, impossibile da scogliere se non con l’amputazione. Fu fermato mentre stava infilando un’intera bottiglia del suo prezioso vino nella narice destra del degustatore calvo. Venne purtroppo rinchiuso per sedici anni in una cella d’isolamento a pane ed acqua, ma venne considerato un salvatore dalla gente “normale” che iniziò a bere il nettare di Bacco dicendo soltanto, quando i profumi si espandevano nel naso, : “che buono questo vino!”.

 

( Fonte Il Giornale del Vino-di Vincenzo Zappalà )

 

 

 

OSSERVAZIONI DI WINETASTE

 

Credo sia necessario fare subito una netta distinzione, a mio avviso tra :

 

1) gli appassionati che scrivono sui blog a loro uso e consumo personale ;

 

2) gli addetti ai lavori che svolgono un compito divulgativo della materia

 

 

 

Credo che ai primi sia consentito scrivere come e meglio loro piace, importante è che si capiscano almeno tra di loro;

 

ai secondi credo sia doveroso assumere un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti , esperti e neofiti, altrimenti si rischia di creare confusione, scoramento ed addirittura controinformazione, anche se in perfetta buona fede.

 

Mi ritorna alla mente una degustazione condotta da un professionista, con tanto di divisa, al cospetto dei migliori degustatori oggi presenti in Italia dove piu' o meno descriveva con questi termini i vini :

 

pelliccia di cane bagnato; interiora di lepre, erba di secondo sfalcio ecc., dopo avere sciorinato non meno di 10/12 riconoscimenti olfattivi.

 

E' dottrina consolidata, ed i maggiori esperti oggi presenti in Italia, me lo hanno piu' volte confermato, che molto raramente ( quasi mai ) in un solo vino possiamo andare oltre ai 4/5 riconoscimenti REALMENTE percepiti e/o percepibili : tutto il resto è puro frutto della fantasia, dell'immaginazione e, lasciatemelo dire della pavoneggiatura esibizionistica di chi li mette in campo.

 

Alla salute

 

Roberto Gatti

 

 

 


Tag: vino, degustazione, winetaste, gatti, sommelier, esame olfattivo, riconoscimenti, sensi, il giornale del vino


px
px
px
px
px
px
px
Web agencyneikos
Entra in MyVinit Chiudi
Email
Password
Mantieni aperta la connessione.
Non sei ancora registrato?