‘In Francia beviamo meno ma meglio’ Intervista a Gabrielle Vizzavona, docente presso l’INSEEC di Parigi
( Fonte Lavinium )
Parigi – Dal 1 gennaio 2016, la deregolamentazione del settore vitivinicolo autorizzerà l'impianto di nuovi vigneti in tutta la Francia e i vini senza indicazione geografica potranno essere venduti. Questa decisione, adottata a Bruxelles nel 2007, ha lo scopo di consentire ai coltivatori di estendere i loro vigneti o piantarne nuovi e liberalizzare la cultura del vino. Una 'rivoluzione culturale' e un 'disastro' per i puristi, appassionati del territorio o i produttori di champagne. Perché potremmo produrre la ricetta del famoso vino altrove come in Lozère o in Vendée, per esempio. Un 'champagne finto', ma che non può ancora ottenere la denominazione di origine controllata (DOC).
La notizia era attesa dal 2007. Nove anni più tardi, si tratta di una riforma sui diritti di impianto delle viti che potrebbero scuotere la mappa dei vigneti francesi. I vignaioli possono piantare nuovi appezzamenti in tutto il territorio nazionale. Ma per non sconvolgere il delicato equilibrio tra domanda e offerta, l'aumento è stato fortemente limitato all'1% del vigneto francese. Un aumento delle terre del vino francese costituito da poco più di 8057 ettari su un totale di circa 800.000. Tuttavia, l'impianto di nuovi vigneti è regolato con una domanda di approvazione che deve essere fatta al FranceAgriMer.
Una decisione di Bruxelles che permetterà di trovare accanto al Saint-Emilion o il Crozes-Hermitage, 'vini senza indicazione geografica' ed è proprio questo che non piace a tutti. VSIG: quattro lettere che significano 'vini senza indicazione geografica', ma quattro lettere che vogliono dire soprattutto 'deregolamentazione' delle terre del vino francese.
Gabrielle Vizzavona, esperta in vini e liquori francesi e docente presso l'INSEEC di Parigi, la scuola di commercio leader nella formazione sul vino, ha accettato di rispondere ad alcune domande per far luce su quel che sta accadendo nel mondo del vino francese.
Che cosa significa questa nuova deregolamentazione del settore vitivinicolo?
L'incremento delle indicazioni geografiche protette e AOC (DOC) non sono interessate dal nuovo regolamento quindi per me l'impatto sarà minore. Dal momento che solo 8000 ettari di vigneti classificati possono essere aggiunti.
Quali sono le implicazioni per il settore del vino?
Ora per piantare di più bisogna giustificarsi economicamente. Però la tendenza in Francia tende a valorizzare le AOC, la creazione di nuove denominazioni gerarchici e di origine controllata, non a impiantare nuovi vigneti senza indicazioni geografiche protette.
La conseguenza sarà che verranno creati alcuni vini un pò originali in regioni che fin qui non producevano vini. E perché no? Non è cosi brutta l'idea. Nelle regioni popolari come Bourgogne o Champagne, l'impianto di nuovi vigneti sarà molto basso con un impatto debole per lo status quo delle denominazioni di origine controllata.
In particolare, dal 1° gennaio, il vecchio sistema dei 'diritti di impianto' lascia quindi spazio alle 'autorizzazioni all'impianto', che offrono per la prima volta una leggera opportunità di crescita alle superfici. Prima di venire a questo compromesso, le discussioni erano tese tra professionisti del settore vino. Schematicamente, si opponevano i vignaioli, legati al bilancio del mercato ad alcuni commercianti che desiderano vendere per esportare una maggiore quantità di vino senza indicazione geografica come ad esempio vini di tavola, in contrasto con i vini di origine DOC e indicazione geografica protetta o di un ex paese del vino.
Quali sono le conseguenze per l'economia francese?
Nel mercato nazionale, la Francia è ancora al top della classifica mondiale dei Paesi consumatori di vino, con una media di 50 litri l'anno per persona. Abbastanza per far girare gli affari di 35.000 aziende vinicole e 400 cooperative che insieme impiegano 500.000 persone. È stato un errore voler liberalizzare eccessivamente per sperare competere sui mercati mondiali con vini di qualità inferiore. Il nostro modello viticolo e il sistema economico francese non lo consente.
Che ruolo ha avuto Bruxelles in questa decisione?
Va ricordato che il passaggio alle autorizzazioni all'impianto rappresenta una soluzione di compromesso alla quale si è giunti dopo la vera e propria levata di scudi, registrata a partire dal 2010, dopo che Bruxelles con la riforma dell'Ocm vino del 2009 aveva sancito una completa deregolazione degli impianti. I Paesi produttori (Italia e Francia in primis) avevano guidato una vera e propria crociata contro la liberalizzazione totale prevista da Bruxelles temendo che la deregulation potesse innescare un'esplosione della produzione nella Ue con conseguente crollo delle quotazioni dei vini. Una crociata che portò a un parziale passo indietro da parte di Bruxelles, che corresse la propria decisione introducendo un nuovo meccanismo in grado di consentire una regolazione dell'offerta.
Quali sono le implicazioni politiche per la politica agricola europea?
Poi abbiamo avuto in Francia con le normative europee una tendenza allo sradicamento, c'erano vignaioli che stavano lottando per posizionarsi soprattutto con vini che avevano residui di zucchero, come il Roussillon. Nella regione del Languedoc-Roussillon, 1/3 delle viti sono scomparse negli ultimi 20 anni. Così i coltivatori hanno dovuto rivalutare la terra e convertire i vigneti, o produttori che sono andati in pensione. Queste politiche non sono sovvenzionate.
Quali sono le ripercussioni sul primato del vino francese?
Produrre vino è estremamente costoso. Piantare nuove viti sì, ma se non esiste un mercato che sta dietro perché farlo? Le persone si sono entusiasmate un pò troppo in fretta ed era sbagliato, perché non conoscono il problema delle vite in Francia. Ma trovare vino in nuove regioni come la Bretagne, che per il momento non produce nessuno vino, penso che sia piuttosto insolito e positivo.
Le domande di nuove piantagioni devono essere presentate da produttori dal 1 marzo 2016. Saranno poi studiate, probabilmente entro luglio, e quindi accettate o no entro i limiti della terra disponibile. I criteri di selezione già definiti, tra cui favorire i nuovi entranti nel mondo del vino, di età inferiore ai 40 anni. Per i sostenitori della liberalizzazione del settore del vino, significa anche, la possibilità di nuove combinazioni di varietà, adattate ai gusti internazionali. Una manna per gli esportatori e per le imprese che possono essere già a sognare di un bottiglia di vino prodotta in Ile-de-France, con una bella foto della Torre Eiffel sull'etichetta ...
Troviamo la stessa deregolazione all'estero? In Italia, ad esempio...
La concorrenza del nuovo mondo si orienta verso i vini di basso medio livello ma il settore italiano e francese non ne patisce. Se gli esportatori tradizionali mantengono il loro vantaggio, la produzione diminuisce in Europa, con l'eccezione della Spagna. Gli accordi di libero scambio tra la Cina e l'Australia, Cile, Nuova Zelanda favoriscono questi esportatori di vino, che sono ora esenti da tasse e formano un nuovo concorso di esportatori tradizionali di bassa e media gamma. Inoltre, il deprezzamento del tasso di cambio in Cile e Sudafrica sostiene prezzi competitivi e li rende territori attraenti. Il mercato africano, nonostante un consumo ancora basso, può avere un forte potenziale di crescita. Tuttavia, resta lontano dal potenziale asiatico.
( Fonte lindro.it )
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