Intervista all’ideatore di “Gusto in Scena”
Congresso Internazionale di Chef
1-3 marzo 2010 Molino Stucky Hilton Venice
In tutto il mondo si parla della "famosa cucina italiana". Chi meglio di Marcello Coronini, giornalista e critico enogastronomico da sempre, può raccontare le motivazioni che lo hanno spinto a dedicare la seconda edizione della sua creatura "Gusto in Scena" a questo tema?
Il giornalista, colpito dal fatto che la cucina italiana manca di una precisa identità, dà una sua risposta e propone a tutti i grandi chef di dare la loro opinione nel suo Congresso.
"La cucina italiana è la capacità degli chef di aver interpretato in passato e interpretare oggi e in futuro con creatività la grande varietà di materie prime che rende l'Italia un paese unico" afferma Coronini.
Il giornalista ci racconta come è nata l'idea di confrontarsi sull'identità della cucina del nostro Paese.
Da cosa nasce il suo desiderio di interrogarsi e interrogare sulla vera identità della cucina italiana?
Mi trovavo a San Sebastian dove mi confrontai con Arzak, Berasategui e Subijana, parlando della loro cucina, della sua realtà passata, attuale e futura. Chiaramente, al centro del confronto tra noi c'era la grande evoluzione che i cuochi spagnoli avevano portato nelle cucine del mondo, italiana compresa. Fu in quell'occasione che incominciai a domandarmi come potevamo definire la cucina italiana.
Tornando in Italia incominciai a riflettere su questo "problema", mi ricordai di quando Girardet e Robouchon definirono una fortuna per i cuochi italiani l'esistenza di quella che chiamarono "la cucina delle nonne". Secondo loro noi italiani avremmo dovuto mantenere un forte collegamento con quello che "le nonne" avevano creato in passato. Quando mi posi il problema dell'identità della cucina italiana mi sono reso conto che le nonne avevano rappresentato l'inizio di una grande avventura in cui erano riuscite a rendere piacevoli piatti essenzialmente poveri, valorizzando le nostre materie prime e aprendo la strada ai cuochi italiani che oggi sono diventati i grandi interpreti di queste nostre splendide materie prime.
Nell'immaginario internazionale la cucina italiana è spesso sinonimo di "mediterranea", lei cosa ne pensa, anche in virtù delle specificità regionali?
Sicuramente la cucina italiana è rappresentativa oggi della "mediterraneità": non per niente è stata proposta, assieme alla spagnola, alla greca e alla tunisina, come patrimonio dell'Unesco. Va detto che in passato lo è stata soprattutto nella sua parte affacciata sul mediterraneo. Non moltissimi anni fa, infatti, in molte aree del nord era il burro e non l'olio di oliva a dominare la scena, il pesce si mangiava nelle aree vicino al mare o nei grandi centri che potevano rifornirsene. Oggi la mediterraneità ha conquistato il Paese, non solo per la sua positività alimentare, ma anche per la piacevolezza e la semplicità con cui sa mettere il gusto al centro della scena. Penso che la mia definizione in merito all'identità della cucina italiana sia naturalmente sinergica con i concetti che ispirano la dieta mediterranea visto che ambedue danno grande valore alle materie prime del nostro Paese.
Cosa ne pensa della sperimentazione a tutti i costi in cucina?
La sperimentazione fatta da chi conosce le basi della cucina, ed è quindi in grado di farla, è sempre positiva, pur con un limite intrinseco: tra quello che viene "inventato", solo una parte durerà nel tempo e diventerà la cucina considerata "tradizionale" nel futuro. E' sempre stato così, da quando l'uomo ha scoperto il fuoco e ha cominciato a cucinare. Quindi, anche da apparenti eccessi di sperimentazione, possono nascere idee costruttive. L'importante è che si approfondiscano i contenuti, si osservi e studi cosa comporta la trasformazione del prodotto. Negli ultimi anni l'evoluzione ha portato a dare, in taluni casi, troppa importanza all'estetica che, comunque, importante è. Si è arrivati a piatti in cui la ricerca dello spettacolo ha alzato i costi e penalizzato in certi casi il gusto. Oggi la sperimentazione è ferma perché l'evoluzione è stata talmente rapida che nessuno "inventa più nulla" e, secondo il mio parere, siamo a un bivio in cui si deve cercare di capire quello che dell'innovazione degli ultimi anni vale la pena conservare facendolo diventare tradizione.
Quali sono i piatti dove si può "sperimentare" e "reinterpretare" e quali quelli in cui è invece meglio rispettare fedelmente la tradizione?
Una grande cuoca che ho portato alla prima edizione di Gusto in Scena, Fina Puigwert del ristorante Les Cols che ho "scoperto" in Garroxta, in una chiacchierata dopo una stupenda cena ha dato la risposta giusta a questa domanda. La Garroxta è una terra nel Nord della Catalogna rimasta a lungo isolata e in cui si trovano materie prime di grande qualità e molto particolari grazie al terreno vulcanico. Qui le donne di casa hanno cercato nei secoli di rendere la loro cucina povera più gustosa con piccoli accorgimenti. Nel menu di Fina, che interpreta in modo spesso audace i piatti della tradizione tenendo alla base la materia prima della sua terra, solo un piatto viene eseguito in modo totalmente tradizionale . Alla mia domanda sul perché non aveva apportato modifiche Fina rispose: è perfetto così, non è possibile migliorarlo. La sintesi è chiara: esistono piatti talmente perfetti da diventare "immortali", mentre è giusto che per il resto ogni cuoco viva il piacere di proporre una personale interpretazione.
Nell'impostare il congresso quali elementi secondo lei sono importanti?
Secondo lei un congresso di grandi cuochi che elementi deve avere per ottenere consenso?
Un congresso deve riuscire a interessare le diverse interpretazioni della cucina, dalla più innovativa alla più tradizionale, e deve cercare di unire le diverse espressioni e impostazioni tra cucine apparentemente contrastanti. Dare quindi una definizione della cucina italiana in questo modo rappresenta un fatto molto interessante perché qualsiasi tipo di cucina, dalla più innovativa alla più tradizionale, nel momento in cui da spazio al territorio e alle sue materie prime rientra in questa definizione.
Nel 2010 chiederemo agli chef relatori di presentare due, massimo tre piatti in cui un prodotto o tecniche e cotture del proprio territorio rappresentino una componente importante.
Con queste premesse, come si propone Gusto in scena?
Gusto in Scena non è solo un Congresso di cuochi, ma è molto di più. Sappiamo che, oltre agli chef, ci saranno vini di molti Paesi europei..
Gusto in Scena vuole diventare un evento culturale di riferimento per l'Europa. Il 2010 vedrà protagonista il cuore della Mitteleuropa. Si creerà così un confronto fra vini e chef di Austria, Slovenia, Svizzera e Italia. Vogliamo rendere Gusto in Scena un evento per il pubblico europeo, è per questo che abbiamo invitato cantine e chef austriaci, sloveni, svizzeri e croati. Riteniamo importante far rivivere un periodo storico di indubbio fascino. Non ultimo, Venezia è raggiungibile in poco più di una ora dalla Slovenia, di due dall'Austria e di quattro dalla Svizzera e, Gusto in Scena potrà così diventare un'occasione turistica dove ritrovare le tradizioni e la cultura che unisce questi paesi.
Tag: cucina, chef, Cucina Italiana, Gusto in Scena, Marcello Coronini