Luigi Veronelli:
50 anni di battaglie e idee a favore della cultura enogastronomica e
dell'agricoltura. Se oggi i vini e la cucina d'Italia riscuotono tanto
successo nel mondo, gran parte del merito è di quest'uomo che, con
perseveranza e cultura, ha saputo individuare e indicare giuste linee di
progresso e, con pregnante tensione etica, fare strada, trainare. Il suo
carisma col vino è unico, invidiabile. Lui non lo assaggia: vi dialoga.
La teoria dei cru, il ritorno dell'uso del carato per l'elevazione dei
grandi vini, la limitazione delle rese per ettaro per favorire la qualità,
il recupero delle varietà dei vitigni autoctoni, la vinificazione in
luogo, la classificazione dei vini con puntuali esami organolettici, il
riconoscimento del Sassicaia, la teoria della distillazione secondo
monovitigno, sono solo alcune delle sue intuizioni, lotte e vittorie. Ha
inventato un linguaggio, un lessico, ormai entrato nell'uso corrente:
"bocca piena e calda", "vino da meditazione",
"vino da favola", "di zerga beva", "rossi
dialettici", e molti altri.
Gli scritti del "maitre à sentir" potete trovarli su "Veronelli
Ev", la rivista che dirige. Tra i suoi libri, Vini d'Italia, La
cucina rustica regionale (con Luigi Carnacina), Viaggio in Italia per le
Città del Vino, Vietato Vietare, La Pacciada (con Gianni Brera) e le
classiche Guide ai Vini e ai Ristoranti. Per le edizioni DeriveApprodi
ha recentemente scritto la prefazione di La cuoca di Buenaventura
Durruti. Veronelli, vorrebbe spiegare come un giorno - e quando - decise
che c'era bisogno di un maggior interesse per le "cose" della
terra? «Ho la fortuna d'essere nato in una famiglia contadina. Mio
padre era un benestante; aveva scelto un lavoro diverso (si occupava di
commercio di prodotti primi per l'industria delle vernici). Eppure aveva
il rimpianto di ciò che aveva lasciato.
Il denaro non era pari all'abbandono della terra. Saggio, me lo fece
capire». Da allora molto "cammino" è stato fatto. Il vino di
oggi è migliore quindi di quello di trent'anni fa. Quali le ragioni? «Sono
tante. Alcune mie intuizioni: la teoria dei cru, la limitazione delle
rese per ettaro... più ancora aver percepito che il terzo millennio
avrebbe finalmente riportato l'uomo a considerare il terreno - ciò che
sta sotto i nostri piedi, infatti è terreno anche il mare - e i suoi
prodotti sono prioritari. Che quindi gli è dovuto il massimo rispetto».
Vuole raccontare del giovane Veronelli alla "discoverta" di
luoghi e vini del Nordest e delle sue venute recenti sempre in queste
zone? «Venezia, che vini non ha, e le sue terre, che molti ne hanno ed
alcuni assai buoni, sono state al vertice dei miei interessi giovanili.
Proprio al "seguito" dell'età ho camminato prima le montagne
- d'estate a piedi, d'inverno con gli sci - poi sono sceso alle colline,
al piano (che ha sempre l'attrativa chilometro per chilometro, del
ricordo incancellabile dei boschi millenari) alle spiagge e al mare. Mi
è difficile dare i nomi dei vini e dei vignaioli che ho più amato».
"I francesi hanno uve d'argento e fanno vini d'oro; gli italiani
hanno uve d'oro e fanno vini d'argento".
Ad oggi vale ancora questa citazione? «E' una frase entrata nell'uso
comune. Mi piace si sappia essere l'affermazione fatta a me di persona
(poi da altri ripresa) da Renè Engel, vignaiolo borgognone, in un
giorno dei primi anni '50. La presi come una provocazione - lo era - e
m'impegnai a convincere i vignaioli italiani che valeva la pena - anche
sul piano economico - di produrre uve e vini d'oro, il che è successo».
Dopo tanti anni dedicati al vino (ma non solo) nasce la
"campagna" per "l'olio secondo Veronelli", per la
produzione di un'olio d'oliva di nuova concezione. Perché? «Mi sono
dedicato al vino per il fascino che aveva su di me e che avrebbe avuto
sui lettori.
Oggi so che, proprio grazie al vino, il mio nome è conosciuto e
credibile. Scrivo allora di ciascuno dei prodotti della terra e di ciò
che può essere ottenuto con la lavorazione artigianale. In particolare
l'olio perché è uno dei prodotti più traditi. Sono più di un milione
gli olivicoltori che non colgono le proprie olive perché il prezzo
della raccolta è già superiore a quanto viene offerto, per le sole
drupe, al mercato». In conclusione, un "regalo di natale" per
i nostri lettori: i nomi di tre vini (di Veneto, Friuli, Trentino) che
quest'anno l'hanno maggiormente impressionata... «Un friulano, il
Collio Bianco Zuani 2001 di San Floriano. Un trentino, il Summolaco
Bianco 2000 dell'Az. Madonna delle Vittorie di Arco e per il Veneto il
Recioto di Soave Renobilis 1997 della famiglia Gini di Monteforte d'Alpone».
Maurizio Stancanelli
FONTE: IL
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