27.12.2002 | Vino e dintorni

La terra e le vigne di Veronelli

Chi non conosce oggi Luigi Veronelli? Chi non gli riconosce la primogenitura di un settore prima di lui inesistente? Nessuno, nemmeno la terra che ha camminato - a fianco dei "suoi" contadini - per ascoltarne i segreti più reconditi. Da "Il Gazzettino" un'intervista con il grande patriarca dell’enogastronomia italiana.

Luigi Veronelli: 50 anni di battaglie e idee a favore della cultura enogastronomica e dell'agricoltura. Se oggi i vini e la cucina d'Italia riscuotono tanto successo nel mondo, gran parte del merito è di quest'uomo che, con perseveranza e cultura, ha saputo individuare e indicare giuste linee di progresso e, con pregnante tensione etica, fare strada, trainare. Il suo carisma col vino è unico, invidiabile. Lui non lo assaggia: vi dialoga.

La teoria dei cru, il ritorno dell'uso del carato per l'elevazione dei grandi vini, la limitazione delle rese per ettaro per favorire la qualità, il recupero delle varietà dei vitigni autoctoni, la vinificazione in luogo, la classificazione dei vini con puntuali esami organolettici, il riconoscimento del Sassicaia, la teoria della distillazione secondo monovitigno, sono solo alcune delle sue intuizioni, lotte e vittorie. Ha inventato un linguaggio, un lessico, ormai entrato nell'uso corrente: "bocca piena e calda", "vino da meditazione", "vino da favola", "di zerga beva", "rossi dialettici", e molti altri.

Gli scritti del "maitre à sentir" potete trovarli su "Veronelli Ev", la rivista che dirige. Tra i suoi libri, Vini d'Italia, La cucina rustica regionale (con Luigi Carnacina), Viaggio in Italia per le Città del Vino, Vietato Vietare, La Pacciada (con Gianni Brera) e le classiche Guide ai Vini e ai Ristoranti. Per le edizioni DeriveApprodi ha recentemente scritto la prefazione di La cuoca di Buenaventura Durruti. Veronelli, vorrebbe spiegare come un giorno - e quando - decise che c'era bisogno di un maggior interesse per le "cose" della terra? «Ho la fortuna d'essere nato in una famiglia contadina. Mio padre era un benestante; aveva scelto un lavoro diverso (si occupava di commercio di prodotti primi per l'industria delle vernici). Eppure aveva il rimpianto di ciò che aveva lasciato.

Il denaro non era pari all'abbandono della terra. Saggio, me lo fece capire». Da allora molto "cammino" è stato fatto. Il vino di oggi è migliore quindi di quello di trent'anni fa. Quali le ragioni? «Sono tante. Alcune mie intuizioni: la teoria dei cru, la limitazione delle rese per ettaro... più ancora aver percepito che il terzo millennio avrebbe finalmente riportato l'uomo a considerare il terreno - ciò che sta sotto i nostri piedi, infatti è terreno anche il mare - e i suoi prodotti sono prioritari. Che quindi gli è dovuto il massimo rispetto». Vuole raccontare del giovane Veronelli alla "discoverta" di luoghi e vini del Nordest e delle sue venute recenti sempre in queste zone? «Venezia, che vini non ha, e le sue terre, che molti ne hanno ed alcuni assai buoni, sono state al vertice dei miei interessi giovanili. Proprio al "seguito" dell'età ho camminato prima le montagne - d'estate a piedi, d'inverno con gli sci - poi sono sceso alle colline, al piano (che ha sempre l'attrativa chilometro per chilometro, del ricordo incancellabile dei boschi millenari) alle spiagge e al mare. Mi è difficile dare i nomi dei vini e dei vignaioli che ho più amato». "I francesi hanno uve d'argento e fanno vini d'oro; gli italiani hanno uve d'oro e fanno vini d'argento".

Ad oggi vale ancora questa citazione? «E' una frase entrata nell'uso comune. Mi piace si sappia essere l'affermazione fatta a me di persona (poi da altri ripresa) da Renè Engel, vignaiolo borgognone, in un giorno dei primi anni '50. La presi come una provocazione - lo era - e m'impegnai a convincere i vignaioli italiani che valeva la pena - anche sul piano economico - di produrre uve e vini d'oro, il che è successo». Dopo tanti anni dedicati al vino (ma non solo) nasce la "campagna" per "l'olio secondo Veronelli", per la produzione di un'olio d'oliva di nuova concezione. Perché? «Mi sono dedicato al vino per il fascino che aveva su di me e che avrebbe avuto sui lettori.

Oggi so che, proprio grazie al vino, il mio nome è conosciuto e credibile. Scrivo allora di ciascuno dei prodotti della terra e di ciò che può essere ottenuto con la lavorazione artigianale. In particolare l'olio perché è uno dei prodotti più traditi. Sono più di un milione gli olivicoltori che non colgono le proprie olive perché il prezzo della raccolta è già superiore a quanto viene offerto, per le sole drupe, al mercato». In conclusione, un "regalo di natale" per i nostri lettori: i nomi di tre vini (di Veneto, Friuli, Trentino) che quest'anno l'hanno maggiormente impressionata... «Un friulano, il Collio Bianco Zuani 2001 di San Floriano. Un trentino, il Summolaco Bianco 2000 dell'Az. Madonna delle Vittorie di Arco e per il Veneto il Recioto di Soave Renobilis 1997 della famiglia Gini di Monteforte d'Alpone».
Maurizio Stancanelli

FONTE: IL GAZZETTINO ON LINE

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