Allo Spazio Krizia di Milano la mostra «gastronomica» di un artista che seppe essere eclettico e dissacrante
Nell'assolato cortile d'ingresso dello Spazio Krizia, sotto le foglie verdi di un alto banano, ci accoglie, su un cavalletto di legno, una foto in bianco e nero di un cuoco sorridente, il cappellone alto sulla testa, il grembiulone bianco e le braccia incrociate, nella posa classica di chi in cucina non ha nulla da temere dai concorrenti. Parrebbe di trovarsi all'ingresso di un ristorante o di quelle trattorie d'un tempo che avevano, a poca distanza dalla soglia, la sagoma di un cuoco invitante per ispirare tranquillità e fiducia al possibile avventore ancora indeciso.
Una volta entrati non ci troviamo, però, nella sala di un ristorante, ma di fronte alle opere di Ken Scott: proprio lui, l'americano George Kenneth Scott, uno dei protagonisti della moda italiana e internazionale negli anni '60 e '70. Allievo delle famose Parson School of Design e Moses Soyer di New York, aveva iniziato la sua attività artistica come pittore sostenuto da Peggy Guggenheim, approdando poi, attraverso i disegni per tessuti, al mondo della moda.
E' lo Spazio Krizia di via Manin 19 a Milano che offre una mostra intitolata «Ken Scott: Food Mood»: disegni degli anni '60 e '70, ispirati in chiave ironica al cibo. Le opere esposte, di proprietà della Ken Scott Foundation, comprendono: otto grandi pannelli scenografici (tempere su carta, intelaiate su juta) sullo sfondo di vedute romane, presentati al pubblico milanese per la prima volta dopo la sfilata spettacolo al Piper di Roma del gennaio 1970; disegni per tessuti stampati della stessa «collezione gastronomica»; cinque serie da soggetti alimentari (pane, pasta, salumi, formaggi, e frutta/verdura) per «strofinacci decorativi».
Le tele, di notevoli dimensioni, spiccano sul nero che le circonda e ci colpiscono per la loro particolarità: sono le più famose vedute di Roma, ma reinventate in un'ottica molto… gustosa: in «Cupolone a carciofo» la basilica di San Pietro al posto della cupola di Michelangelo ha, appunto, un enorme carciofo; in «Pisello del Popolo» il famoso obelisco di Piazza del Popolo è diventato un baccello di pisello aperto che si eleva dal piedistallo; in «Pasticcini da Tevere» sotto uno dei ponti più celebrati della capitale galleggiano paste e pasticcini, come fossero barchette colorate dalle forme strane; in «Gruviera Colossale» un enorme Colosseo di groviera ha preso il posto dell'anfiteatro più bello del mondo.
È una mostra curiosa, dissacrante e divertente, proprio come doveva essere il personaggio che l'ha ideata, «l'americano di Milano» lo chiamavano i milanesi, che per primi avevano comprato e amato la sua moda, i vestiti dal taglio semplice, dagli stampati strabilianti, dai colori sgargianti e dalle fantasie mai riprodotte prima sui tessuti.
Sono presenti anche dei disegni stampati per tovaglie: «Festosa, 1975», con frutta estiva molto colorata, e «Imbandita, 1970», con la riproduzione di una tavola attorno a cui sono riuniti vari commensali, come suggeriscono i bicchieri quasi colmi di vino rosé, i piatti ancora pieni dei cibi più diversi e un improbabile pesce dal colore azzurro.
Nell'insieme, il menù imbandito su questa mensa appare abbastanza insolito, forse come uno di quelli che Ken Scott, raffinato cordon bleu, proponeva agli ospiti del suo esclusivo ristorante in via Corridoni a Milano. Qui riceveva gli avventori proprio vestito da cuoco, con il grande cappello bianco e quell'aria divertita con cui continua ad accoglierci ora, nella foto in limine alla mostra.