Un’indagine storica e archeologica che si salda con il futuro grazie al progetto per realizzare un nuovo rosso. Convegno ad Aquileia per riscoprirne produzione e commercio.
Il vino romano tra sacro e profano è stato il tema di un convegno che si è tenuto ad Aquileia. Un unico neo, la giornata, l’ultima domenica prima di Natale. Per il resto tutto perfetto perché gli organizzatori, il Gruppo archeologico aquileiese e il Comitato promotore della rassegna dei vini dell’Agro aquileiese, hanno fatto le cose davvero per bene offrendo uno spaccato storico, culturale ed enologico legato all’antica Aquileia. Il vino come produzione e commercializzazione per rifornire le popolazioni che in Pannonia e nel Norico, lungo il limes danubiano ne erano sprovviste. Del resto Livia, moglie dell’imperatore Augusto, nel secondo secolo dopo Cristo faceva uso del Pucinum, ritenuto vera gioia per il palato, ma anche di eccezionali proprietà salutistiche.
Il convegno di Aquileia è servito a dimostrare, ancora una volta, che il vino era presente nell’alimentazione di quel tempo e che tutte le ricerche confermano che la vocazione vinicola di questa terra è tra le più antiche in Italia. Tutto è documentato da autori come Plinio il Vecchio, Columella, Erodiano, Marziale e altri ancora.
Aquileia luogo di produzione e commercializzazione, oltre che centro di smistamento di vino con collegamenti con l’Istria e con le campagne del Veronese, è stato il tema introdotto da Alviano Scarel, che ha ricordato che l’uso del vino nell’antica Aquileia è testimoniato dai vari ritrovamenti, bicchieri in terracotta, coppe e bottiglie di vetro e calici, e dai mosaici.
Vino e vini nell’Italia romana con procedure per la vinificazione, conservazione, commercializzazione e consumo, è stata una delle relazioni chiave della giornata. Ne ha ampiamente parlato, con una ricca documentazione iconografica, Stefania Pesavento Mattioli dell’Università di Padova. Hanno fatto seguito le relazioni Le testimonianze archeologiche sulla produzione del vino della Venetia romana di Stella Busana e quella dedicata a Le anfore vinarie nell’area alto-adriatica: produzione e importazioni, di Silvia Cipriano e Stefania Mazzocchin dell’Università di Padova.
I lavori sono ripresi nel pomeriggio con L’importazione dell’olio e del vino dal Mediterraneo nel Norico in età giulio-claudia, di Gernot Piccottini, direttore del Landesmuseum della Carinzia, con Il vino in epoca romana in territorio sloveno, di Verena Perko del Centro di ricerche scientifiche della Repubblica di Slovenia, cui ha fatto seguito Aspetti del dionisismo tra mondo greco e mondo romano, di Attilio Mastrocinque dell’Università di Verona. La serie di relazioni è proseguita con Il calice della salvezza e il vino nella liturgia cristiana a cura di Sandro Piussi, ricercatore, e Nec aliud aptius medicamentis: l’uso medicinale dei vini cisalpini,di Alfredo Buonopane. Le conclusioni sono state tratte dalla professoressa Silvia Blason del Gruppo archeologico aquileiese.
La cura del vino, vista non solo come ricerca storica e archeologica, ma intesa come una tradizione che continua. Per questo, accanto a studi e ricerche presentati nel corso del convegno, è stato anche proposto, con particolare risalto, il progetto Rosso di Aquileia con l’intendimento di recuperare la tradizionale formula dell’uvaggio in uso in questa zona. Rosso – si è detto – perché le condizioni pedologiche di questa terra favoriscono la produzione di vini di grande corpo, ricchi di quei tannini nobili che ne fanno vini di grande personalità, capaci di migliorare nel tempo, affinandosi con l’invecchiamento in ambiente inerte o acquisendo ulteriore complessità attraverso il contatto con il legno. Il vino, appunto questo Rosso di Aquileia, che deve nascere e rappresentare uno specifico territorio che ha come capitale Aquileia, colonia romana ricca di vestigia e di un grande passato.
Silvano Bertossi