Secondo
Luciano Pignataro, giornalista
del Mattino ed autore di guide sul vino e la gastronomia del
Mezzogiorno, la crisi non colpisce tutto lo stivale: “Come sino a
qualche anno fa si faceva l'errore di dire che un’annata era buona o
cattiva a seconda di come era andata in Toscana e Piemonte, così ora
bisogna evitare di confondere la crisi di vendite di alcune regioni
con quel che succede nel resto del paese - precisa Pignataro -
Il Sud infatti va abbastanza bene, la
Sicilia è esplosa, Campania e Basilicata volano, anche la Puglia non
può lamentarsi.
Il problema è che nel giro di pochi anni il
costo del vino è cresciuto in maniera abnorme, troppe
etichette senza storia venivano immesse nel mercato a prezzi
altissimi perché si pensava fosse questo il miglior modo di vendere
- sottolinea l'esperto del gusto - Nel vino
è accaduto lo stesso fenomeno della Net-economy: allora
ogni titolo quotato in borsa con un nome che contenesse com o net
schizzava alle stelle a prescindere dai suoi parametri. Poi la bolla
speculativa è scoppiata. Abbiamo visto la stessa parabola seguita da
alcuni prodotti toscani e piemontesi, due regioni che più di altre
stanno soffrendo. Insomma, una cosa è un Biondi Santi di annata,
altro è un cabernet sauvignon o un merlot dei colli lucchesi!”.
Perchè le grandi aziende italiane non
riescono ad essere competitive come una volta?
Anzitutto perché sono piccole nel mercato globale, un po' come le
banche. La forza e la debolezza del nostro sistema è dato proprio
dalle piccole dimensioni dell’impresa. Poi ci sono stati altri
fattori esterni, come l'apprezzamento del 30% in un anno dell'euro
sul dollaro e questo ha pesato sull'export sul mercato americano
dove siamo sempre al primo posto per valore. C'è poi il sistema di
promozione troppo frazionato, gli enti si presentano in ordine
sparso agli appuntamenti, si pensa di più a mettere le bandierine o,
peggio ancora, a tenere le carte a posto per non avere problemi
secondo l'antica regola della burocrazia borbonica per la quale
quando non si fa non si sbaglia. Non si comprende che per un cinese
o un americano è molto difficile distinguere tra Ribolla Gialla e
Passito di Pantelleria, Val d'Aosta e Molise. Chi, ad occhio e
croce, saprebbe dirmi dov'è l'Oregon senza guardare la cartina Usa?
La crisi riguarda le viti, gli enologi o i
mercati sempre più competitivi?
Sicuramente è un problema commerciale: negli ultimi anni il
miglioramento del prodotto è stato stratosferico, il fermento
culturale, a volte un po' da parvenue, è stato profondo investendo
giovani, donne e ampi strati della popolazione come mai prima era
accaduto. Basti pensare al fenomeno dei wine bar e alle iscrizioni
alla facoltà di Agraria. Il problema che noi italiani ci siamo
riposizionati in un mercato saturo dove la competività è alta senza
avere l'esperienza commerciale ultrasecolare dei francesi che pure
hanno preso molte mazzate. Tutto sommato parlerei di crisi di
crescita, non di ripiegamento, sono sicuro che lavorando sui prezzi
gli italiani restano altamente competitivi nella fascia medio-alta
di consumo.
Politi dice che la Spagna potrebbe
addirittura superare l'Italia. Ci sono anche altri Stati che stanno
facendo passi avanti?
La Spagna è un grande paese ed ha una storia statuale sicuramente
più importante dell'Italia negli ultimi sei secoli. Il fermento
culturale e gastronomico è eccezionale, c'è voglia di innovazione,
lo dimostra anche la vittoria di Zapatero, mentre noi e i francesi
siamo in una fase di autocontemplazione museale, cosa importante ma
sicuramente meno dinamica. Resta alla base la nostra tradizione
gastronomica che si riassume in una considerazione banale:
sicuramente i cuochi spagnoli sono più famosi dei nostri in questo
momento, ma la cucina italiana, insieme a quella cinese, francese e
indiana, è la più diffusa e conosciuta al mondo. Dunque non credo in
un sorpasso, queste cose non avvengono in pochi anni, ma hanno le
loro radici nei tempi lunghi della storia.
L'Italia è lo Stato con maggiori vitigni
autoctoni. E' un punto di forza?
Certamente è una possibilità commerciale in più. Faccio un esempio
banale: sarebbe mai emersa Taurasi come zona vitivinicola nel nostro
paese con il cabernet? La risposta è facile. Il pubblico del vino è
colto, cerca le novità, ama identificare ciò che beve con il
territorio e la ricchezza italiana è sicuramente un patrimonio
importante da questo punto di vista perchè giustifica i piccoli
numeri e i prezzi. Se si beve un vino particolare, purché sia ben
fatto, si è disposti a pagarlo senza discutere troppo il prezzo.
Anche le aziende campane stanno vivendo
questa crisi o vanno in contro tendenza?
In tutte le province c'è un aumento degli investimenti, della
superfice dichiarata a doc e della produzione. Elimando Salerno e
Caserta le cui produzioni sono di nicchia, la questione riguarda
Napoli, Benevento e Avellino. Le prime due province stanno vendendo
a gonfie vele, hanno mantenuto i prezzi bassi accentuando la
tipicità del prodotto. Ad Avellino invece la tradizione commerciale
era ristretta alla sola famiglia Mastoberardino la quale non a caso
non conosce rallentamenti grazie al nome, al prodotto e ai prezzi
molto contenuti. I vini di Mastoberardino, come quelli di Terredora,
sono sempre eccellenti, costano meno di molti Taurasi, Greco e Fiano
spuntati nell'ultimo periodo e questo la dice lunga
sull'improvvisazione che ha segnato l'ingresso di molti in questo
settore. Purtroppo oggi Fiano e Greco, in media, sono i bianchi più
cari in Italia mentre il prezzo del Taurasi è assolutamente
esagerato e non giustificato dai costi e dalla storia. Il commercio
e la comunicazione non si inventano, proprio come il vino. La
soluzione per tutti è mantenere fermi i prezzi per farli rientrare
nella media italiana come hanno fatto i friulani andati fuori
mercato negli anni '90 e adesso rientrati alla grande. Ma quante
aziende hanno la capitalizzazione necessaria per aspettare? Mi
auguro di cuore tutte, ma non credo sia così.
Su quale vino la Campania dovrebbe puntare
per essere più competitiva?
La ricetta è semplice, bisogna mantenere la diversità dell'offerta.
La Campania è terra di bianchi, buoni, buonissimi, e di alcuni
grandi rossi. Diversificare l'offerta è uno dei segreti per restare
in sella sui mercati, dunque fanno bene quanti stanno lavorando sui
rosati, sui rossi di pronta beva, sul moscato e i vini dolci. La
Campania ha piccole quantità, la produzione è di nicchia, deve
perciò mantenere la caratteristica di pregio e di tipicità. Io sono
molto ottimista, di anno in anno gli assaggi migliorano e
soprattutto i produttori cominciano a capire che non devono battersi
fra loro per piazzare la bottiglia nella salumeria dietro l'angolo,
ma unirsi per navigare nel meraviglioso mare aperto del mercato
globale. Con il Vesuvio che li sorveglia, possono solo sbagliare da
soli a tirare il calcio di rigore che il destino ha fischiato a loro
favore.
FONTE:
Campaniasuweb.it
Mario Vella |