Bollicine che diventano
passepartout, fatturati che diventano miliardari. Vino che, a volte,
diventa «quel che diventa». Eppure il Prosecco resta uno dei gioielli
della Marca, non tanto dal punto di vista enologico, quanto del valore.
Sì, di quello commerciale.
Nel mercato internazionale non esistono altri spumanti con analoghe
caratteristiche di piacevolezza e di bevibilità, è vero. Però è anche vero
che il successo del Prosecco sul mercato internazionale è il risultato
della capacità imprenditoriale delle aziende spumantiste che hanno
aggiunto alle caratteristiche intrinseche di questo vino una buona
immagine fatta di bottiglie ed etichette accattivanti, di una presenza
massiccia nelle più importanti fiere e manifestazioni varie (grazie sia
all'intensa attività del
Consorzio di tutela,
sia alle iniziative dei singoli). Il Prosecco è divenuto, così, il vino
del «bere giovane», quello che piace alle signore e ai ragazzi, che
s'abbina piacevolmente con mille pietanze o con una chiacchierata tra
amici. Ma questo è il punto di vista del cliente, o potenziale tale.
Dal punto di vista dei produttori, il Prosecco è un'altra cosa: è
«numeri». Nell'ultimo quinquennio, infatti, il giro d'affari del
Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene è stato nel 1998 di circa 270
miliardi di lire, per passare a circa 380 miliardi di lire nel
2000 arrivando nel 2001 ad un valore di 200 milioni di euro. I
primi dati sulla commercializzazione 2002, infine, confermano un'ulteriore
crescita delle vendite di qualche punto percentuale.
Numeri, inoltre, cresciuti esponenzialmente negli ultimi vent'anni,
durante i quali le verdi colline di Valdobbiadene e Conegliano hanno
raggiunto quotazioni/ettaro davvero ragguardevoli. Numeri che invadono i
mercati di Germania (primo importatore di bollicine trevigiane),
Austria e Svizzera, ma che crescono sempre più anche in Usa,
Giappone, Brasile, Inghilterra e Canada. Alcuni (i più organizzati)
sono anche riusciti ad imporsi in Vietnam, Cina, Cambogia, Filippine o
stati dell'America latina. Molti quelli che vantano presenze stabili
in oltre quaranta-cinquanta paesi del mondo.
Insomma, una grande produzione cresciuta a dismisura e che negli ultimi
anni ha sempre più cercato di darsi un'identità. Perché l'identità è,
spesso - sia dal punto di vista enologico quanto di mercato - il vero
problema del Prosecco. Che, per noi che viviamo intorno o dentro la zona
Doc, resta e rimarrà «Prosecco» e basta, ma che al di fuori dai confini
trevigiani vuole, anzi «deve» essere meglio identificato come «Prosecco
doc di Conegliano Valdobbiadene.
Non è un argomento di poco conto o un vezzo campanilistico, ma una
precisa esigenza di marketing per un vino che, tra tutte le fortune
che sta vivendo, resta un po' «vittima» di quel destino che lo nomina
esattamente come il vitigno dal quale prende vita. Rendendo così possibile
vendemmiare del «Prosecco» anche in Puglia o in Brasile. Ma, si sa, un
vino non nasce solo dalla pianta ma anche da tutto quel che ci sta sotto
da quel terroir che i francesi chiamano con un nome così bello che è
impossibile tradurlo, da quel territorio che gli sta intorno. Quel
territorio che, anche questo i produttori di Prosecco lo hanno capito
bene, dev'essere valorizzato con le manifestazioni come «Primavera del
Prosecco».
Marina Grasso
Fonte:
La Tribuna di Treviso |