Usa quale terzo mercato
di esportazione (soprattutto Parma, ma anche San Daniele), dopo Francia e
Germania, e con il consolidamento delle relazioni riguardanti la sicurezza
alimentare, superata nel 2002 una seria crisi, il trend esportativo è in
crescita.
Grazie al prosciutto si è instaurato un rapporto esclusivo e sinergico tra
i servizi food safety americani e italiani. Ciò rappresenta un modello
esportabile in Europa e non solo. Sono le considerazioni espresse dal
dott. Franco Regini nella conferenza “Il Prosciutto: un
protagonista nelle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Italia”
organizzata dall’Accademia Nazionale di Agricoltura a Bologna.
Ma il prosciutto, fiore all’ occhiello del made in Italy, è stato
anzitutto il prodotto che ha aperto la via alle esportazioni italiane di
carne negli USA. Non solo, questa sua prerogativa, gli ha spianato la
strada anche verso altri mercati, per i quali il “visto USA” rappresenta
una garanzia, in molti casi già di per sé sufficiente a superare procedure
spesso macchinose e costose. Ha creato una breccia nel rigido regime
igienico sanitario americano, che prima lo riteneva un prodotto crudo,
praticamente “unedible”, cioè non commestibile, e potenziale veicolo di
malattie sia per l’uomo che per gli animali.
Nella storia del commercio mondiale dei prodotti agricoli e alimentari,
infatti, le restrizioni sanitarie hanno notoriamente rappresentato il
mezzo migliore per applicare politiche protezionistiche, le cosiddette
barriere non tariffarie.
I fattori che stanno alla base di questo fenomeno sono oggi soprattutto di
carattere più propriamente igienico sanitario e ambientale: impedire la
diffusione di infestanti e patogeni animali e vegetali, emergenze
sanitarie (ultima quella della BSE), dispute internazionali (ormoni della
crescita e OGM), normative non equivalenti.
Al fine di superare questi ostacoli sono stati stipulati accordi e creati
organismi volti a stabilire regole valide internazionalmente. Ad esempio
il Codex Alimentarius , la raccolta degli standards internazionali
in materia agro-alimentare, l’OIE, l’ organizzazione internazionale
della sanità animale, la Convenzione Internazionale della FAO per
la Protezione Vegetale ecc. Anche le Aree di Libero Scambio, come il
NAFTA, il MERCOSUR e la stessa Unione Europea, nonché
l’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), contribuiscono
sostanzialmente a superare le divergenze in campo sanitario. L’Unione
Europea ha perfino recentemente istituito un’Autorità per la Sicurezza
Alimentare al fine di armonizzare la materia all’interno del suo
territorio.
Dal 1997, per esempio, i prodotti vegetali che entrano in un qualsiasi
paese dell’ UE ricevono un cosiddetto “passaporto “, col quale
possono circolare in tutta l’Unione. Infine esistono gli Accordi di
Equivalenza, con i quali due o più paesi riconoscono reciprocamente le
proprie normative. E il prosciutto è probabilmente il prodotto che meglio
in Europa cerca di interpretare l’ Accordo di Equivalenza Veterinaria, che
esiste tra Stati Uniti e UE.
L’esperienza del prosciutto ha permesso anche agli stabilimenti italiani
che esportano negli USA e più in generale al sistema veterinario e
d’igiene alimentare italiano nel suo complesso di anticipare un esigenza
di rinnovamento del tradizionale sistema di ispezione delle carni, da più
parti considerato inadeguato perché non affronta i principali rischi, in
particolare quelli relativi ai microrganismi patogeni.
Tale processo di rinnovamento introdurrà alcune significative innovazioni:
- misure igieniche sull’intera filiera, dall’allevamento al
prodotto finito;
- l’HACCP , e cioè l’analisi dei rischi e i punti di controllo.
- modelli alternativi in merito alla gestione dell’ispezione post
mortem;
La stessa Unione Europea nel frattempo si è attivata in questo processo.
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