22.01.2004 | Vino e dintorni

Quando il calice diventa amaro...

È ormai da un anno circa che molti titolari di wine bar e locali pubblici si lamentano per la fase di crisi che il settore sta attraversando, in particolare per il fatto che un rito - quello dell'aperitivo, vino in primis- che sembrava aver preso definitivamente quota sembra ora vivere un momento di forte flessione." Le cose sono cambiate - sottolineano di continuo - e la gente non beve più come prima...

Tutte le sere c'era gente a prendere l'aperitivo e in quelle ore di preludio che conducono alla cena si poteva basare quasi tutto il guadagno della giornata: adesso il lavoro si è dimezzato...". E questo è solo un piccolo esempio; ce ne potrebbero essere mille altri, magari con accenti o sfumature diverse. Ma il concetto è spesso simile: la crisi ci sta ammazzando, la crisi, la crisi... Ok, la crisi c'è, ma non per questo tutti gli esercenti di locali pubblici ne soffrono alla stessa maniera. E quindi? Non significherà forse questo che con una maggiore attenzione anche i danni da congiuntura possono essere scongiurati, e scusate il gioco di parole? Forse sì.

E il pensiero va subito alle politiche dei prezzi. Se in periodi difficili, in momenti di crisi, i prezzi aumentano anziché diminuire o restare invariati, come potrà reagire la clientela?

I consumatori, infatti, sono sempre meno sprovveduti, anche se qualcuno pensa ancora il contrario. Ed anche in materia si fanno sempre più spesso valutazioni sul rapporto tra qualità e prezzo, tra prezzo e servizio e, ancora, tra costo e reale valore di un locale. Facciamo esempi concreti. Un calice del vino meno importante - per usare un eufemismo- costa mediamente dai 5 ai 7 euro. Normale?

Nient'affatto, se è vero che lo stesso vino costa da altre parti dai 3 ai 4 euro. Dati controllati personalmente durante i miei viaggi di lavoro. "Ma c'è il servizio" molti dicono per giustificare il caro prezzo. Ma i diversi locali che adottano questa filosofia, il servizio altro non è che farti vedere il banco pieno di patatine, polentine, ritagli di pizzette rimaste dalle colazioni del mattino, olive un po' ingrigite e per ultimo un po' di affettato e qualche scheggia di formaggio...

E i dieci euro pagati per uno spumantino alla moda giustificano tutto questo? Non credo proprio. È il momento di prender atto della realtà. Il vino non ha costi aggiuntivi, non ha bisogno di ulteriore lavorazione come accade per le normali derrate alimentari, né possiamo definire il vino propriamente materiale deperibile. Chi lo beve spesso ne conosce i prezzi e qualcuno si chiederà pure "se in enoteca quell'etichetta la pago 5 euro a bottiglia perché c'è chi lo mesce a cinque euro al calice?"

Teniamo presente che se una porzione di vino corrisponde a 100 grammi, se ne ricavano più o meno sette dosi, ad essere larghi sei. La moltlipicazione è semplice. E il vero servizio sapete qual è? È la possibilità di dare agli avventori un buon calice di vino, pagarlo un prezzo onesto e offrire cose sfiziose solo se il cliente lo desidera.

Impariamo da tutti quelli che danno la possibilità di gustare il vino senza "rimpianti" e voragini nel portafoglio e fanno pagare ciò che di buono si vuole mangiare. Meditate gente, meditate, anche se stavolta non si tratta proprio di birra...

Fabio Magnani, Giornalista enoico
fabiomag@linknet.it - autore del libro
Vini dal Cile Viaggio tra i profumi dei vigneti andini -
Edizioni Delmònt, Ravenna Marzo 2002

 

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