29.07.2003 | Itinerari del Gusto

Profumi del passato ed emozioni del futuro

Era una calda giornata d’estate, quando decisi di approfondire la mia ricerca sulla gastronomia sarda. Mi inoltrai in uno di quei paesini sperduti dell’entroterra alla ricerca di sapori più veri, necessari per comprendere meglio quel modo di vivere la tavola. Le strette strade del paese erano costeggiate dalle mura bianche delle case che, cesellate dalle piccole finestrelle aperte, conservavano un aspetto boccheggiante per l’effetto della calura estiva.

Il rumorino grazioso della ghiaia accompagnava i miei passi assieme al silenzio che regnava nella strada deserta: d'altronde l’ora, mezzogiorno in punto, non consentiva altro che prepararsi al pranzo. Dalle finestre si scorgeva il biancore delle tovaglie delle tavole imbandite, le famiglie riunite e le donne che completavano gli ultimi preparativi.
Nel mio curiosare cominciavo a percepire i primi profumi di tutto quel cucinare e, respirandoli, nella mente prendevano forma piatti diversi.

I sentori delicati della polenta calda e fumante si intrecciavano con gli aromi decisi del cinghiale che andavano a completare i famosi malloreddus, i caratteristici gnocchetti sardi. Poco più avanti era la volta del ragout di
lepre e funghi porcini, perfetti per le tagliatelle di castagna.

Una fragranza improvvisa di formaggio fresco attira la mia attenzione e mi trasporta ad un piatto singolare: i culunzones, i tortelli tipici dell’isola, dove il pecorino sardo, gli spinaci e lo zafferano ne costituiscono il ripieno fondamentale. Per associazione penso ai maccarrones cun arrescittu, dove il formaggio, in questo caso la ricotta, è l’interprete fondamentale.

Altre, però, sono le preparazioni di primi piatti dove il formaggio è presente nelle sue varie forme. La cualadda: cavoli, patate, cotenna di maiale, lardo, pecorino e aromi dei più attraenti, vanno a condire una pasta dai sapori che riportano ad una terra pungente e ricca d’emozioni. La pillus: sfoglie di pasta fatte con farina, prosciutto crudo, carne di manzo tritata, formaggio fresco latte e spezie.

Un profumo che sa d’oriente mi distoglie da queste associazioni nello stesso istante in cui sento il sentore cullante del burro fuso intriso di cannella e profumi d’arancio: peculiarità dei ravioli dolci.

Ero ospite nella casa di alcuni amici che mi aspettavano per il pranzo, ma la tiepida aria estiva ricca di profumi iodati e balsami speziati avevano catturato la mia curiosità causandomi un po’ di ritardo.

I miei ospiti sapevano dell’interesse che nutrivo per la cucina dell’isola, infatti, la sera prima mi lamentavo di non avere incontrato ancora nessuna emozione legata ai primi piatti a base di pesce.

Sapevo nel mio intimo che nella storia gastronomica sarda non c’era, al riguardo, tradizione alcuna. “Abbiamo una sorpresa per te!” esclamò uno di loro con sorriso soddisfatto, “ti abbiamo preparato un pranzo fatto solo di primi piatti a base di pesce”. Non vedevo l’ora.

Per prima cosa mi portano un assaggio di spaghetti conditi in tre differenti modi. I primi sono con i ricci di mare e mi spiegano che per la bontà di questo piatto è necessario che i ricci siano freschi e presi dal mare prima che vadano “in amore”.

È la volta degli spaghetti alla buttariga, con la classica bottarga tagliata fine e lasciata macerare nell’olio d’oliva per un’ora intera prima di essere utilizzata.

Subito dopo è il momento degli spaghetti d’Alghero preparati con le arselle, le vongole dell’isola, con l’aggiunta d’aglio e prezzemolo tritato fine ed eventuali aromi.

“La buttariga la usiamo anche per preparare i risotti”, mi accenna la cuoca di casa portandomene un assaggio. Per rimanere nel tema del riso mi fanno provare un risotto in salsa d’aragosta, profumato e delicato al contempo. Mi incuriosisce la preparazione della salsa e, quindi, chiedo qualche spiegazione.“Devi lessare l’aragosta “, mi chiariscono, “una volta cotta devi tritare la carne con acutezza e mescolarla con un pò d’aglio, olio, sale e prezzemolo ma l’importante è riutilizzare il brodo perché... è quello che dona il sapore al piatto”.

La pietanza seguente che attira la mia attenzione ha una preparazione più elaborata. Si tratta di una minestra a pasta corta in brodo di pesce. La si ottiene unendo vari tipi di pescato (vongole, muggine, polipi eccetera), coi quali si fa un brodo dove si aggiunge un trito di aromi e spezie e, una volta pronto, si aggiunge la pasta fino a cottura desiderata.
Rimango impressionato dalla forza delicata di questi piatti, pur sapendo che la bontà di queste preparazioni non affondano le radici nella storia del passato.

Il giorno seguente mi trovavo sulla costa e scrutavo il mare che abbracciava l’isola. Ammiravo gli ultimi riverberi del tramonto che carezzavano languidamente le onde acquerellate di rosso tenue. Il vento tiepido di fine estate trasportava l’odore della salsedine mescolata alle fragranze balsamiche dei boschi circostanti, e vedevo la Sardegna come uno scrigno ricolmo di tesori dimenticati da qualcuno di cui nessuno conosce l’identità.

L’ ospitalità ricevuta mi era stata cara perché mi aveva permesso di toccare con mano una gastronomia che difficilmente si trova nei normali ristoranti. Il modo di condividere la tavola in Sardegna è completamente diverso da quello che, normalmente, si può immaginare. Sono tante le dinamiche e gli ingredienti che la compongono.

Si tratta d’emozioni intrecciate alla cultura di un passato che si riversa nel futuro. È il futuro delle nuove generazioni, è quello dei nuovi ristoratori e dei nuovi clienti. Il compito non è facile. Ai primi spetta l’importanza di far capire ai secondi la meraviglia di una cultura gastronomica ricca di passione e suggestioni. Sono le stesse suggestioni che si ritrovano quando lo sguardo si perde nel profondo mare di Sardegna, quelle dei paesaggi dalle figure aspre e dure appena sfiorate dal vento,
dell’incantesimo delle fragranze dei boschi, della terra rossa e bruciata dal sole che porta ancora le sofferenze del passato dei suoi abitanti.

È l’ orgoglio, il vero ingrediente dei piatti delle loro case. Tutto questo si ritrova nell’enogastronomia dell’isola. Sta a noi avere il coraggio di scoprirne l’essenza senza i pregiudizi della gente comune, di chi da tutto per scontato come se ogni cosa fosse dovuta. C’è, ancora oggi, chi produce il sapore di una volta nel rispetto dei vecchi canoni, sono piccole aziende, privati mossi dalla gioia di condividere la propria cultura con altri, semplici appassionati aggrappati all’esasperata ricerca della genuinità d’altri tempi. È nel passato che troviamo la forza e, quindi, la certezza di determinate sensazioni e coinvolgimenti.

Se capitate da quelle parti, aprite la mente a nuove possibilità, espandete i vostri sensi, e non ve ne pentirete.

[foto tratte da Alistore.com]

 

Fabio Magnani, Giornalista enoico
fabiomag@linknet.it - autore del libro
Vini dal Cile Viaggio tra i profumi dei vigneti andini -
Edizioni Delmònt, Ravenna Marzo 2002

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