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Eppure c'è da chiedersi, se la creatività
che oggi molti di noi mostrano ai fornelli non si formò attraverso i
secoli di sofferenza per la mancanza di cibo e dalla necessità di
rendere commestibili ingredienti davvero difficili da elaborare.
Nel medioevo lo spettro della fame aleggiava su tutta Europa.
Procurarsi da mangiare, conservare le derrate, trasportarle anche
per lunghe distanze o garantirsi l'acquisto era davvero difficile.
Siamo in un'epoca caratterizzata da
carestie improvvise, siccità, eccessi di pioggia, da
conflitti interni per l'acquisizione del potere, dalle invasioni
barbariche come dalle incursioni degli eserciti maomettani.
Vere e proprie disgrazie per la tavola. L'età di mezzo comincia con
la caduta dell'impero romano (476dc) e termina con la scoperta
dell'america nel 1492. Nell'arco di questo
periodo storico vediamo forse la prima e vera evoluzione della
cucina ovvero, il momento dove la necessità fa virtù e la
mente dell'uomo comincia a creare.
L'alto medioevo fu terribile, la denutrizione falcidiava le
popolazioni d'ogni parte d'Europa ed è solo dall'anno mille in poi
(basso medioevo), che si vede un miglioramento delle condizioni
generali ivi compreso il modo di sfamarsi.
Tra il XI ed il XII secolo, l'alimentazione consisteva in brodaglie
e passati di verdure mentre la carne è destinata ai nobili;
i contadini se non catturavano selvaggina mangiavano carne solo una
volta l'anno durante la macellazione del maiale. Quest'ultimo si
trovava nelle tavole di tutti in maniera più o meno abbondante
perché usato sia come condimento - strutto e lardo -, sia per
ricavarne insaccati conservati con sale e spezie.
Il condimento più prezioso era l'olio
d'oliva alternato al latte di vacca adoperato per insaporire carni,
uova e verdure oltre che per fare i formaggi che insieme a vegetali
e frutta facevano da contorno nelle tavole.
Tra le tavole dei ricchi, delle abbazie e dei contadini le
differenze si moltlipicavano. Nelle prime,
la cacciagione incontra un grande successo: tordi,
cinghiali, lepri, caprioli, cervi, pernici, starne, oche, galletti e
pavoni erano protagonisti assieme alla carne di agnello e pecora;
più rara, invece, il bue e il vitello che scarseggiavano anche nelle
tavole dei benestanti. Le carni erano cotte direttamente sul fuoco,
dopo essere state spellate e ripulite dalle interiora, aromatizzate
con aromi e spezie per essere poi tagliate da uno scalco e servite
direttamente su grandi piatti o su grandi fette di pane.
Tutto si mangiava con le mani ma esistevano
regole sul buon comportamento che limitavano all'uso esclusivo delle
dita, inneggiando alla compostezza e all'evitare di
sporcarsi viso e vestiti oltre che far rumori con bocca e lingua.
Diverse erano le singolarità che si trovavano nelle tavole dei re
che si dilettavano a provare cibi di diverso genere come la carne
d'orso o le cotolette ricavate dalla pianta del piede dell'elefante
una raffinatezza al pari del pasticcio di lingue di pappagallo o del
pasticcio di carne, farina e canditi.
Inoltre si faceva largo uso di funghi e
tartufi, di pane raffinato e vino mai annacquato,
specialmente nei banchetti dove la sequenza dei cibi era scandita da
sorbetti ghiacciati a base di frutta usati per predisporre lo
stomaco alle portate successive. Le ultime portate erano
rappresentate da pere e mele cotte al forno condite con spezie,
mentre non riscuotevano successo i dolci preparati con miele, panne
e creme a cui si preferivano le cialde. Le
tavole dei monasteri e delle abbazie erano meno opulente ma di certo
il cibo non mancava. Formaggi, uova, ortaggi e frutta
fornivano una presenza continua insieme alla cacciagione al pane non
raffinato e al vino allungato con l'acqua.
Anche il pesce d'acqua dolce come di mare era molto ricercato
soprattutto nel periodo di quaresima ma rappresentava un prodotto
costoso destinato alle tavole ecclesiastiche e ai nobili.
La cucina dei poveri, paradossalmente, era
quella dove la fantasia suppliva alla mancanza di materie prime.
Per chi viveva nelle campagne il sostentamento quotidiano era dato
da cereali e frumento, da cui si ottenevano farine che servivano per
fare focacce cotte nei forni in cambio di servigi.
Verdure, legumi, e ogni tanto uova e formaggi erano prodotti che chi
viveva in campagna poteva vedere nelle proprie case anche se in
misere quantità giacché i padroni delle terre lasciavano ben poco di
che vivere. Il vino, raro per queste persone quanto la stessa carne,
era sempre di scarsa qualità e annacquato.
La cucina povera era la più elaborata poiché si sostituivano gli
alimenti troppo costosi con altri ingredienti di scarso pregio.
Zuppe e pasticci provengono proprio dalle
ricette di campagna dove nulla si gettava e tutto, come recita un
vecchio adagio, faceva brodo.
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