Una doppia e inedita confessione laica Mercoledi sera al Circolo "Diavolo Rosso" di Asti. Barbera di Castiglione per Rivella, Ceretto sarà nel cuore di Alba.
ASTI. Diavolo, `sti Cavalieri. Contano 134 anni in due (69 Ezio Rivella, segno zodiacale Ariete e 65 Bruno Ceretto, Pesci) e li vivono con la grinta di due bulldog che hanno addentato il lavoro e non lo mollano. Anzi, mercoledì sera durante la «confessione laica», condotta da Sergio Miravalle, i due Cavalieri del Lavoro (Rivella fu insignito da Pertini, Ceretto da Ciampi) hanno guardato pensato al futuro. Nei sogni, sempre molto concreti, del presidente dell´Unione italiana vini c´è il rilancio, sulle colline di Castagnole Lanze, della cascina di famiglia, dal nome evocante: Bel Sit. Sono cinque ettari a barbera: «La sto imbottigliando in questi giorni, usciremo tra qualche mese. Sarebbe piaciuta a mio padre Paolo» racconta Rivella, elencando le altre quattro aziende (a Montalcino, in Maremma, ad Orvieto e nel Chianti che ha acquisito da quando è «andato in pensione» dalla sua creatura Vini Banfi: un colosso da tremila ettari con tenute a Montalcino e Strevi. E Bruno Ceretto, con altrettanta concretezza, già vede le insegne di famiglia campeggiare nel cuore di piazza del Duomo ad Alba, dove un palazzo, acquistato da poco, diventerà la sede centrale della Maison, con uffici e punto d´incontro, ma anche un ristorante informale «da un solo piatto tipico al giorno dove mettere a confronto i nostri vini con quelli dei giovani emergenti, per dare a tutti l´occasione di farsi conoscere». Per questa doppia intervista il «Diavolo Rosso», l´ex chiesa del Settecento da due anni trasformata in circolo eno-culturale, era gremito di appassionati di vino e «colleghi» dei due protagonisti. Ripercorrere le loro vite è come sfogliare l´album dell´ultimo mezzo secolo dell´enologia italiana: Rivella che si diploma all´enologica di Alba, lavora in qualche ditta della zona, poi nel 1957 «emigra verso il Sud» e va a risolvere i problemi enologici del bianco dei Castelli Romani. Diventa un «creatore di vini», lavora in Sicilia («ho anche conosciuto quelli che sono poi comparsi nel processo ad Andreotti»), poi sale in Emilia e lancia il fenomeno del Lambrusco negli Usa: l´Italian Cola dei primi Anni Settanta. Finché nel 1977 dagli importatori americani, i fratelli Mariani, riceve l´astronomica cifra di 100 milioni dollari (85 miliardi di lire di allora) per investire nel vino in Italia: e nacque Villa Banfi e il lancio del Brunello.
La scalata di Bruno Ceretto non è da meno: lascia gli studi enologici al fratello Marcello e da fresco ragioniere vende il vino in damigiane per l´azienda del padre. Il primo barolo in bottiglia glielo accettano, ma senza etichetta. Lui non demorde e inizia a «battere i marciapiedi del mondo» presentandosi «un quarto d´ora prima dell´apertura davanti ai ristoranti per aiutare il padrone a tirar su la serranda». Grinta e tenacia da vendere, oltre al barolo. Aneddoti e stili di vita. Ceretto ama Garibaldi e Rivella i generali prussiani. Ma anche tenerezze «umane»: «Mai un litigio con mio fratello spero sarà sempre così nella mia famiglia» dice l´attuale assessore alla Cultura del Comune di Alba che diventa maratoneta a 60 anni «per amore». E Rivella studia le battaglie nella storia, preferisce restar fuori dalla partitica «intanto nel mondo del vino mi eleggono sempre». E non mancano le ricette enologiche comuni: il Piemonte deve guardare alla Toscana, aprirsi, pensare ai vini di vertice ma anche alla qualità quotidiana: è la barbera è il vino ideale. L´Asti e il moscato devono uscire dal tunnel guardando in alto «e basta con le distillazioni. I soldi pubblici spendiamoli per la sanità» dice Ceretto-amministratore pubblico. L´Ezio ha un motto: «Non mollare». Ceretto gli risponde: «Guardare avanti». Buon galoppo: Cavalieri.