L'agriturismo tiene viva la cultura dei salumi della Campania
L’Irpinia e la Campania sono legate a doppio filo alla cultura dell’allevamento del maiale. In ogni casa, fino a pochi decenni or sono, nella cucina delle famiglie contadine, dove d’inverno non mancava mai il caminetto acceso, bastava alzare un po’ gli occhi per ammirare ogni ben di Dio appeso alle classiche pertiche di castagno in beata esposizione al fumo che inevitabilmente proveniva dal fuoco acceso ventiquattrore su ventiquattro. E lì c’era da tapparsi immediatamente occhi e naso, specialmente se l’ora era prossima al pranzo o alla cena. I profumi che inondavano l’ambiente erano tali e tanti che non appena il padrone di casa accennava un seppur formale invito alla tavola non ce lo si faceva ripetere due volte e ,rimandando qualsiasi impegno, ci si fermava molto volentieri a pranzo oppure a cena, e qualche volta anche a colazione o per la merenda pomeridiana. Insomma ogni momento era buono per degustare quelle delizie della tradizione . Ma qual è il segreto? Non c’è nessun segreto, se non quello di metterci tanta passione e tantissimo lavoro abbinati al “know how” dei nostri nonni che non dobbiamo mai perdere! Si inizia dalla materia prima e cioè dalle carni , che devono essere di maiali “che hanno mangiato due volte le mele”, come diceva mio nonno. Significa che il lattonzolo(maialino lattante) nato intorno al periodo pasquale, infatti si programmavano gli accoppiamenti per determinare le nascite proprio in quel periodo, arrivava ad ottobre, il mese delle mele, a più di sei mesi, quindi all’altro ottobre a più di un’anno e mezzo: è così che si ottengono animali della stazza di duequintaliemezzo spaccati e pesati!!! La consistenza e la maturazione delle carni rappresentano, quindi, degli elementi imprescindibili per la realizzazione di prodotti di eccellenza. Naturalmente moltissimo dipende anche dalla dieta che questi animali devono seguire . Il principio è quanto più varia è, meglio è. E allora l’uso tradizionale di alimentare i maiali a seconda della disponibilità stagionale è l’architrave della riuscita dei nostri salumi tipici. E così è naturale che a giugno, luglio ed agosto l’alimentazione a base di tritello di grano tenero sia integrata da zucche, zucchine e scarti di verdure; a settembre, ottobre e novembre , sostituendo l’alimento base tritello con farina di mais si integri con mele, ghiande e castagne. Si prosegue poi con il “menù” da ingrasso : Farina di mais e scarti di patate lesse e schiacciate(il cosiddetto pastone). Fondamentale è anche l’uso di cuocere gli alimenti che vengono somministrati ai maiali, questo perché i suini hanno un’apparato digerente abbastanza “approssimativo” nel senso che non riescono a metabolizzare facilmente tutto quello che mangiano e buona parte di ciò se ne va in deiezioni. Ora qualcuno si domanderà : ma quanto costa tutto questo? Sicuramente molto di più di quanto ci potrebbe costare il migliore prodotto industriale DOP, IGP, STP, o di qualsiasi altra sigla si voglia parlare. E sta proprio qui il nocciolo della questione : i disciplinari dovrebbero innanzitutto differenziare i prodotti artigianali da quelli industriali secondo i parametri anzidetti e poi andare a valutare le altre generiche prescrizioni. Non ha senso andare a paragonare un prodotto irripetibile(nel senso che non ci può essere standardizzazione) , ad un prodotto industriale che per quanto buono possa essere, non avrà mai le diverse caratterizzazioni che un prodotto artigianale sicuramente potrà esprimere.
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