ROMA - Sorpresa e successo per il recital di Bruno Lauzi, accolto dal folto pubblico della rassegna Jazz & Imagine a Villa Celimontana. Sorpresa per via del repertorio, autenticamente jazzistico, basato principalmente su rodati standard, quali When I fall in love, The lady is a tramp, My funny Valentine, As time goes by, Love is here to stay, cantati in inglese; successo, meritatissimo, per un artista che ormai da anni segue un percorso tutto suo. Lontano dalla logica discografica, dalla televisione, dalle gare a premi e dalla promozione e anche dalla favola della cosiddetta "scuola genovese", Lauzi preferisce da diverso tempo cantare ciò che di più ama o ha amato. Per esempio il jazz, sorprendendo non poco gli appassionati romani. Eppure la passione arriva da lontano.
Nel 1985 Bruno Lauzi pubblicò l'album Back to jazz, in cui riproponeva dei vecchi classici, senza contare Inventario latino, un brano del 1990 dove duettava con Barney Kessel, uno dei maestri della chitarra jazz. Nel 1953, a sedici anni, presentato da Luigi Tenco, suo compagno di banco, si insedia a casa dei fratelli Reverberi, entrando a far parte della Jelly Roll Morton Boys Jazz Band, alternandosi in vari strumenti e risultando presto il più intonato e quello dotato della voce più interessante. Rilassato e di buon umore, Lauzi ha alternato classici e motivi originali, fra cui Mio padre cantava jazz, Be bop ipotetico e Diano Marina, quest'ultimo dedicato a Paolo Conte. Probabilmente la platea si aspettava qualcosa in più del Lauzi cantautore o di quello battistiano, ma, medley a parte, la centralità del concerto era proprio basata sulla persona visione della musica afro-americana. Del resto quando un cantante è libero da obblighi promozionali riesce a dare il meglio, ignorando tutto il ruolo istituzionale della professione. Questo è il Lauzi di oggi, un artista che preferisce incidere dischi per banche e fondazioni ma che di fatto è fuori dal giro discografico; un artista che ha scritto un romanzo, una commedia musicale e due libri di poesie e a cui farebbero bene a rivolgersi come autore molti dei nostri cantanti, soprattutto donne.
Accompagnato da Gianni Sanjust al clarinetto, Riccardo Biseo al piano, Giorgio Rosciglione al basso e Gegè Munari alla batteria, Lauzi ha intervallato il suo repertorio con ricordi e aneddoti sulla sua mancata carriera di cantante jazz, ricordando però i concerti con Sante Palumbo, Enrico Rava e Renato Sellani. Forse i puristi del jazz non accetteranno questa sua incursione, ma il pubblico ha mostrato di gradire e di divertirsi. Il concetto di swing di Lauzi è senza dubbio atipico, ma la sua estensione e la brillantezza dell'interpretazione hanno fatto venire in mente più volte lo stile di Mel Tormè, un grande vocalist, che l'artista genovese ricorda anche nel fisico, a parte la leonina e canuta criniera.
A 64 anni suonati, Bruno Lauzi - che nell'ambiente musicale ha fatto di tutto - con quaranta di carriera alle spalle, ha dimostrato che è ancora possibile divertirsi rimanendo fuori dal coro. Ma attenzione: per farlo occorre talento e qualcosa da dire. Inoltre serve anche una mentalità aperta, la stessa che ha portato Lauzi a fare altre cose nella vita - per esempio è un rinomato produttore di vino doc - oppure a mantenere la sua abitazione romana, proprio nel cuore di Trastevere. E' anche in questo modo che un artista si conserva integro, con capacità di recupero insospettabili, mantenendo l'istrionismo a livelli accettabili, magari alternando filastrocche di Gianni Rodari ad altre in portoghese-genovese.
Il jazz è un modo come un altro: se lo affronti correttamente non ti tradisce mai.