Sul cammino che porta a conoscere l'aceto reggiano ...
il primo inoppugnabile documento giunge dal poema Vita Mathildis, composto dal monaco benedettino Donizone nel convento di Sant'Apollonio di Canossa fra il 1112 e il 1115.
E' il 1046. Enrico III di Franconia scende in Italia, diretto a Roma, dove verrà incoronato col titolo di Enrico III imperatore di Germania. Giunto a Piacenza verso la fine di ottobre, il sovrano manda a Bonifacio, marchese di Toscana, suo avversario politico e padre della neonata Matilde, diverse cose nuove. Desidera avere in cambio quel famoso aceto che si prepara nella rocca di Canossa. Bonifacio, per soddisfare la domanda del suo re ma, forse, anche per ostentare le proprie ricchezze, fa costruire in argento una botticella, due buoi e un giogo; riempie d'aceto canusino la botte e spedisce il tutto ad Enrico III su un carro vero tirato da buoi vivi. "Il re gradì assai quel grande e magnifico dono. Carum rex donum tenuit magnumque decorum".
Risalendo nei secoli, ed omettendo ovviamente i riferimenti relativi ad altre aree geografiche, i reggiani che hanno a cuore le vicende di casa apprenderanno con soddisfazione che già nel Cinquecento c'era chi, a Scandiano, teneva nel granaio una botticella di aceto. La notizia ci viene dal notaio Tommaso Mattacoda (amico di Matteo Maria Boiardo ), il quale in data 17 febbraio 1503 redige l'inventario dei beni che si trovano nella casa di Laurino da Bazzano, posta nel castello di Scandiano, e vi rinviene, appunto, "Supergranario [...] botisinus unus ab aceto", presumibilmente attivato in epoca precedente, cioè nel Quattrocento.
La citazione più autorevole (sul piano letterario) dell'aceto giunge nientemeno che da Lodovico Ariosto, il maggiore poeta "laico" della lingua italiana, il quale indirizza nel 1518 la satira III al cugino Annibale Malaguzzi. Fedele al mai smentito ideale di vivere libero, al punto di rinunciare al servizio del cardinale Ippolito piuttosto che seguirlo in Ungheria, il grande reggiano ricorda che se il cardellino e il fanello possono vivere in gabbia, e l'usignolo vi si adatta malamente, la rondine in un giorno vi morirebbe di rabbia. Così è per lui: a qualsiasi delizioso cibo servile, preferisce una rapa da lui stesso cotta e condita con aceto e sapa.