01.02.2002 | Vino e dintorni

Il Vino Italiano sembra in buona salute

Ad Asti convegno nazionale organizzato dalla ”Associazione Città del Vino” e primo incontro che si tiene sotto la presidenza di Paolo Saturnini, sindaco di Greve in Chianti.

Suggestiva la cornice dell’ex Chiesa di San Giuseppe e ricco d’ospiti eccellenti il palco ove si sono alternati numerosi relatori, riuniti per valutare lo stato di salute di Vino, Turismo ed Economia legati tra loro e in tensione dopo i tragici fatti americani dell’11 settembre.
Moderato da Pino Khail il dibattito ha preso avvio con Ezio Rivella, grande nome dell’enologia italiana; dopo di lui, gli imprenditori Frescobaldi e Folonari, Forte dell’ICE, Garrone dell’Enoteca del Piemonte e poi, in rappresentanza di numerose regioni d’Italia, dirigenti di aziende e cantine.
Ne è emerso un quadro tutto sommato rassicurante: il settore viti-vinicolo aveva qualche motivo di preoccupazione anche prima del dramma delle Torri Gemelle ma si devono fare le opportune distinzioni. 
La vera svolta economico-commerciale porta la data del 1994, quando la classe medica ha appurato e comunicato che il consumo moderato di vino aiuta a vivere meglio e più a lungo. Il vino ha progressivamente acquisito dignità e si è avviata la corsa agli investimenti nel settore, per avere il meglio, per produrre il meglio. E’ vero che i flussi turistici si sono ora rallentati ma cambiano le abitudini e il consumo di vino resta costante o aumenta: si consuma in casa, tra amici, si acquista nelle enoteche, nei supermarket, in campagna. 
I motivi di preoccupazione per i protagonisti del vino italiano sono altri e dipendono dall’incalzante corsa dei Paesi Emergenti che rosicchiano importanti fette di mercato mentre in Italia resta il flagello della distillazione e degli espianti che hanno tolto rilevanti quantità di prodotto; inoltre vi sono Doc che non hanno mercato o non ne hanno mai avuto. Il quadro, però, resta sostanzialmente sereno e alcuni imprenditori del vino stringono accordi con gli amici e competitori americani: è il caso, per esempio di Frescobaldi con Mondavi: i vini di Frescobaldi vanno a Buckingam Palace (sarà solo una questione di nobiltà?) e le esportazioni si gonfiano a dispetto dei cugini francesi, in vaga difficoltà (e secondi nel regno Unito di Gran Bretagna dove sono stati sopravanzati dagli australiani). 
Il paradosso è costituito dal fatto che mentre noi siamo, in termini di export generale, con il fiato sul collo dei transalpini, gli Australiani ci avvicinano in maniera preoccupante nelle quote vendute, per esempio, negli Stati Uniti. E' una questione di mentalità di Marketing, d’immagine e di ottimi canali distributivi a dimostrazione che il vino non è solo alimento ma è anche (o soprattutto) prestigio. Oltreoceano vanno forte i vini toscani e piemontesi e se questa notizia non è una sorpresa, piacevole meraviglia è scoprire il bel recupero dei vini bianchi del Nord-Est e soprattutto del Pinot grigio. Anche nelle altre regioni d’Italia si sorride con moderazione: l’associazione degli importatori americani ha rassicurato su previsioni ottimistiche per il 2002. 
Export positivo, si vende di più in bottiglia che sfuso e crescono i prezzi medi anche se ci sono squilibri: in Francia i nostri produttori vendono ad un prezzo medio di 819 lire al litro, in Germania a 2600 lire, in Svizzera a circa 5000 lire, negli USA a quasi 7000 (e scusateci se abbiamo usato ancora le lire). Da parte sua il turismo, per l’analisi di Donatella Cinelli Colombini, dopo aver sconvolto con il batticuore l’Ottobre 2001degli operatori del settore, si è ripreso e stabilizzato: si prevedono per il 2002 più tedeschi (viaggiano di preferenza sulle ruote) che francesi (preferiscono solcare i cieli) ma complessivamente con il giusto gioco di squadra, secondo una curiosa metafora, è possibile segnare una rete nella quale il turista enogastronomico resta impigliato e non ne esce se non dopo aver acquistato vini, prodotti tipici vari e servizi d’accoglienza.
Paolo d'Abramo
VINit.net

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