«Siamo seduti su un vulcano». Così Assunta Bertaccini, biologa dell’Università di Bologna, ha sintetizzato la situazione della viticoltura italiana, fortemente minacciata dalla flavescenza dorata...
Una malattia insidiosa, in grado di azzerare completamente la produzione dell’uva ed estremamente contagiosa, il cui focolaio italiano è proprio nel veronese, dove si è sviluppato il ceppo più virulento e contagioso. Il 90% delle viti veronesi affette da giallumi, infatti, è risultato contagiato da questa epidemia, la cui sola cura è l’abbattimento della pianta e che, a detta degli esperti, è pericolosa quanto la “fillossera” che ha flagellato i vitigni italiani nel secolo scorso.
La Bertaccini, e gli altri oratori del convegno sulla “Flavescenza dorate e altri giallumi della vite” organizzato dal Consorzio Tutela Vini TerradeiForti nella Cantina Sociale di Rivalta, hanno spiegato come si può individuare, prevenire e combattere questa malattia da quarantena ad una assiepata platea di viticoltori, oltre 150, che, a conclusione del convegno, hanno a lungo dibattuto con i relatori, chiedendo ulteriori informazioni e dettagli.
«La situazione è grave», spiega il presidente di Terradeiforti, Paolo Castelletti, anch’egli viticoltore «dobbiamo agire in modo coordinato, tutti assieme, rispettando le indicazioni degli esperti sui tempi e i metodi di trattamento delle viti contro lo scaphoideus, la cicalina che trasmette la flavescenza, e abbattendo le piante infette. So che è un sacrificio dalla rilevanti conseguenze economiche ma è l’unica strada percorribile».
Come ha spiegato l’agronomo Stefano Sartori, «l’unica arma per combattere la malattia è la collaborazione degli agricoltori che devono monitorare attentamente le piante, segnalando al servizio fitosanitario la presenza dello lo scaphoideus titanus, facilmente distinguibile perché presenta due piccole macchie nere sul dorso; agire con i trattamenti adeguati al momento giusto, e arrendersi al fatto di dover abbattere le vigna malata».
L’eliminazione non è un consiglio degli esperti ma un obbligo di legge poiché la flavescenza è una malattia da quarantena, tanto che, secondo Francesco Penner, tecnico dell’Istituto Tenico Agrario di San Michele, che ha riscontrato come l’infezione stia risalendo lungo la Valdadige verso il Trentino, aiutata dalla presenza di essenze boschive in grado di ospitare il vettore e dalle arterie autostradali, «sotto Ala, è meglio procedere all’abbattimento non appena si individua la compresenza dei sintomi, simili a quelli degli altri giallumi della vite, come il legno nero, e dello Scaphoideus. E’inutile aspettare gli esiti, scontati data la diffusione della flavescenza, delle analisi del Dna.».
«Gli agricoltori devono cercare di tenere il più possibile in ordine i vigneti e i terreni circostanti e stare molto attenti agli impianti e agli innesti», gli ha fatto eco Mario Chemolli, del servizio di vigilanza dell’Ufficio Fitosanitario della Provincia Autonoma di Trento, che ha invitato gli agricoltori a controllare attentamente il materiale di propagazione. Oltre all’insetto, infatti, è attraverso materiale vivaistico infetto che la malattia si è diffusa velocemente dalla Francia, da dove è stata segnalata fin dagli anni ’50, all’Italia, dove è presente dal 1973 e dove si è modificata divenendo più aggressiva e pericolosa, alla maggior parte delle aree viticole del mondo. Secondo la Bertaccini, «la flavescenza è presente dovunque ma non è riconosciuta perché non si procede alle analisi del caso, vuoi perché costose e complicate ma, anche perché, a livello politico non si vuole dare al problema la rilevanza che merita. Fino ad ora la flavescenza, che pure, negli anni scorsi, interrompendo la maturazione degli acini, è arrivata a dimezzare la resa annua di alcuni vigneti, non ha provocato grossi danni solo perché alterna lunghi periodi di latenza ai periodi di attività, ma i dati degli ultimi anni, a livello veneto, evidenziano che i periodi di latenza vanno diminuendo sempre di più, soprattutto nel caso del ceppo veronese, uno dei più giovani e recenti».