Tante le varietà presenti: il cacioricotta, ottenuto con il latte della capra cilentana e la mozzarella con la “mortella”, dall’aroma inconfondibile fornito dal mirto.
Dal pascolo al prodotto finito: i caseifici
artigianali
Gli allevamenti al pascolo, l’utilizzo del latte crudo, i metodi e
le tecniche artigianali: sono questi i tratti comuni della maggior
parte delle piccole aziende casearie del territorio cilentano. “Gli
allevatori sono anche trasformatori della materia prima – sottolinea
Gianni Ruggiero, responsabile
della Sezione Sviluppo Produzioni Animali
dello STAPA C.e.p.i.c.a. di
Salerno. Questo ha i suoi vantaggi: l’alimentazione degli
animali tenuti al pascolo influisce, infatti, positivamente sulle
qualità organolettiche e nutrizionali del latte che, lavorato a
crudo, mantiene inalterate le proprietà fisico-chimiche e
microbiologiche”.
D’altro canto è importante che le aziende casearie si adeguino alle
normative che garantiscono la sicurezza dei prodotti, acquisendo
attrezzature e locali di lavorazione e stagionatura idonei.
“Pertanto – continua Ruggiero – negli ultimi anni abbiamo fornito
finanziamenti ai piccoli caseifici
artigianali per l’adeguamento funzionale e strutturale e promosso
corsi di formazione per gli
operatori del settore. Tutto ciò anche ai fini della
promozione e della
commercializzazione di questi
formaggi”.
Territorio e tipicità
Le peculiarità di un territorio si riflettono nelle sue produzioni
tipiche. Ciò vale anche per i formaggi tradizionali, le cui
specificità dipendono in buona parte dalla morfologia e
dall’ambiente locale e dalla tipologia degli animali allevati in
zona. In merito, un ruolo importante è giocato dalla
capra “cilentana”,
oggetto, peraltro, di studi da parte del
Dipartimento di Produzione Animale dell’Università Federico II di
Napoli.
Con il latte munto dalla capra cilentana si ottiene uno dei formaggi
più tipici della zona, il cacioricotta,
che associa le caseine del formaggio alle siero-proteine della
ricotta.
“Un prodotto – continua Gallo – diffuso soprattutto nell’area del
Bussentino, dove la popolazione di
capra cilentana, tenuta al pascolo nella macchia mediterranea del
posto, è ancora consistente”. E se nel Basso Cilento, dove sono
presenti pascoli al di sotto dei mille metri, prevale l’allevamento
di ovicaprini, nella zona degli
Alburni e del
Cervati è più facile trovare i
formaggi a pasta filata, derivati da latte vaccino. “Questi
territori con pascoli più ad alta quota – aggiunge Gallo – sono più
adatti all’allevamento bovino e dunque alla produzione di ottimi
caciocavalli”.
I formaggi ovi-caprini
Dagli Alburni al
Vallo di Diano, dal
Cervati al
Basso Cilento. Diverse sono le aree
vocate alla produzione di formaggi tipici, diversi i piccoli
produttori che portano avanti aziende familiari con metodi
artigianali e tecniche tradizionali. Dove più forte è la tradizione
dei formaggi caprini è nel comprensorio del
Bussento. Qui infatti più
consistente è la presenza di allevamenti di capra cilentana. A
Torraca,
Pietro Bruno, titolare dell’omonimo caseificio, ne
possiede oltre 150 capi e dal latte di questi animali produce il
classico cacio-ricotta cilentano.
“Il primo segreto di un ottimo
cacio-ricotta – spiega Bruno – è l’alimentazione naturale
delle capre. Lasciate al pascolo nella macchia mediterranea, si
nutrono di lentisco, ginestra, mortella ed erbe che danno al latte
aromi e sentori inconfondibili. Poi – continua Bruno – c’è la
peculiare tecnica di produzione che permette di associare il gusto
forte del cacio a quello più delicato della ricotta. Per questo è un
formaggio ottimo anche consumato fresco, dopo appena quattro o
cinque giorni dalla produzione. Se lasciato stagionare, dopo un mese
è già pronto per essere grattugiato”.
Proprio le modalità di consumo fanno privilegiare, infine, una
produzione secondo pezzature medio-piccole.
“A differenza di altri formaggi a più lunga stagionatura – aggiunge
Bruno – è preferibile che le forme di cacioricotta non superino il
peso di 300-400 grammi”. Non
manca però, in questo territorio, chi si dedica alla produzione di
formaggi pecorini. Come
Angelo Amato, che a
Casaletto Spartano, all’allevamento
di pecore di razze selezionate associa la produzione artigianale.
“I nostri formaggi – dice Amato – non hanno mai un sapore identico.
L’alimentazione delle pecore, lasciate libere al pascolo, varia ogni
giorno. E così anche il latte munto assume aromi e fragranze
diverse”. Il pecorino viene lasciato stagionare anche
otto mesi e le forme in genere sono
di grandi dimensioni, fino a 10 kg di peso.
“Perché il pecorino assuma un sapore forte e deciso – spiega Amato –
è meglio che le forme non abbiano un peso inferiore ai
7-8 kg. Quelle più piccole, da
mezzo chilo, sono ottime invece da grattugiare”.
I formaggi a pasta filata
Tra i formaggi a pasta filata, in cui si utilizza latte vaccino,
spicca nel Cilento la mozzarella con la
mortella, che trova il suo territorio d’elezione nel
comprensorio della Comunità Montana del
Lambro e Mingardo. “Un prodotto dall’aroma e dalla
consistenza inconfondibile – spiega
Benedetto Chirico, titolare dell’omonimo caseificio a
Marina di Ascea – che nacque da
esigenze pratiche. I pastori e i contadini per conservare e
trasportare le mozzarelle impararono a riporle in fasci di mirto
raggruppandole in una forma sferica”.
Qui è possibile trovare anche un altro particolare formaggio: il
caciocavallo stagionato nel grano,
all’interno di cassapanche lignee, un tempo usate per conservare al
fresco il prezioso cereale. “Un’idea che trae spunto dalla
tradizione – dice Chirico –. Lasciamo stagionare per tre, quattro
mesi i caciocavalli insieme al grano che assicura una temperatura e
un’umidità costante. Così maturano più lentamente e nel contempo
assorbono l’aroma specifico fornito dal grano”.
Tecniche di produzione e caratteristiche
La mozzarella nella mortella, ottenuta da latte vaccino, si conserva
e si dispone su rametti di mirto
(mirtillus communis)Il suo nome deriva dall’arbusto, detto in
dialetto “mortella” o “mortedda”. Quest’uso potrebbe essere
scaturito dall’esigenza di conservare al fresco la mozzarella nel
trasporto dai pascoli, dove era prodotta, alle abitazioni. Il
territorio di produzione è il Basso Cilento,
e in particolare alcuni comuni compresi nelle
Comunità Montane del Bussento,
Mingardo, del
Cervati e del
Gelbison, dove il mirto cresce
spontaneo e rigoglioso.
Al latte di vacca, portato a 37 gradi, viene in seguito aggiunto il
caglio. Il tempo di coagulazione è di circa 70 minuti, si procede
poi alla rottura della cagliata. La maturazione avviene in appositi
tini in assenza, o quasi, di siero (12 - 24 ore). Segue l’operazione
di filatura e formatura della mozzarelle. La
forma ellisoidale
allungata è conferita alla pasta
manualmente. Le confezioni sono contenute in “mazzi” comprendenti da
6 a 10 mozzarelle, racchiuse in rametti di mirtillo che conferisce
al formaggio un inconfondibile aroma. Al palato l’acidità è
leggermente più pronunciata rispetto alle comuni mozzarelle.
Il cacioricotta caprino
Il termine “cacioricotta” deriva dalla particolare lavorazione di
questo formaggio caprino, che arricchisce il prodotto finito con le
sieroproteine che si ritrovano nella ricotta. È una produzione
tipica degli allevamenti caprini del
salernitano, in cui è presente la
capra cosiddetta “cilentana”. Il
latte, appena munto, viene messo in un recipiente (detto “caccavo”)
e riscaldato a 85 - 90 gradi. Raggiunta questa temperatura si lascia
raffreddare fino a 35 - 36 gradi, quindi si aggiunge il caglio di
capretto in quantità di 30 - 40 grammi per quintale di latte; in un
tempo di 15 - 20 minuti avviene la coagulazione.
Si fa la rottura della cagliata con il tipico “ruotolo”,
in modo da ridurla in granuli delle dimensioni di chicchi di riso.
Dopo 10 - 15 minuti, tempo in cui la cagliata precipita e si
deposita sul fondo del recipiente, il casaro la raccoglie
compattandola nelle “fuscelle”
(particolari contenitori forati), per favorire l’uscita del siero.
Quando le forme si sono raffreddate si effettua la salatura a secco
o in salamoia. Dopo 24 - 36 ore, vengono tolte dalle fuscelle,
lavate e disposte su graticciate. Trascorsi due giorni, i formaggi
vengono girati per favorire la stagionatura uniforme. Il formaggio è
pronto al consumo già fresco oppure dopo due o tre mesi di
stagionatura.
Nella zona del fiume Bussento e
negli Alburni, dove per altro
sono concentrate le maggiori quantità dì capre e si rinviene la
maggiore produzione di questo formaggio. Il pascolo, basato sulle
essenze della macchia mediterranea, conferisce al formaggio una
connotazione organolettica particolare. Le greggi sono costituite
prevalentemente da capre di tipo genetico del “Cilento” (nelle sue
sottodistinzioni nero, grigio, fulvo). Il
Cacioricotta Caprino, a seconda della minore o maggiore
stagionatura, presenta un colore che va dal bianco al giallo
paglierino.
La pasta è dura e compatta e priva di occhiature. Molto profumato,
se ben stagionato si sente odore di erba. Al palato risulta
compatto, gustoso, poco piccante. Si produce per buona parte
dell’anno, ma i cacioricotta più pregiati sono quelli preparati nei
mesi di aprile e maggio. Servito a spicchi, si accompagna a pane
casereccio e vino rosso locale. Il formaggio stagionato è ottimo,
grattugiato, per condire la pasta fatta in casa.
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Bartolomeo Ruggiero
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