21.03.2006 | Prodotti Tipici

Sapori da riscoprire

Un alimento genuino sempre più apprezzato e consumato. Un prodotto ricco di valori nutrizionali, dai sapori forti e intensi. Parliamo del formaggio, che nel territorio cilentano è ancora prodotto secondo tecniche e metodi tradizionali. Alimenti completi e sostanziosi, buoni per costituire un secondo piatto o da abbinare a svariate pietanze.

Tante le varietà presenti: il cacioricotta, ottenuto con il latte della capra cilentana e la mozzarella con la “mortella”, dall’aroma inconfondibile fornito dal mirto.

Dal pascolo al prodotto finito: i caseifici artigianali
Gli allevamenti al pascolo, l’utilizzo del latte crudo, i metodi e le tecniche artigianali: sono questi i tratti comuni della maggior parte delle piccole aziende casearie del territorio cilentano. “Gli allevatori sono anche trasformatori della materia prima – sottolinea Gianni Ruggiero, responsabile della Sezione Sviluppo Produzioni Animali dello STAPA C.e.p.i.c.a. di Salerno. Questo ha i suoi vantaggi: l’alimentazione degli animali tenuti al pascolo influisce, infatti, positivamente sulle qualità organolettiche e nutrizionali del latte che, lavorato a crudo, mantiene inalterate le proprietà fisico-chimiche e microbiologiche”.

D’altro canto è importante che le aziende casearie si adeguino alle normative che garantiscono la sicurezza dei prodotti, acquisendo attrezzature e locali di lavorazione e stagionatura idonei. “Pertanto – continua Ruggiero – negli ultimi anni abbiamo fornito finanziamenti ai piccoli caseifici artigianali per l’adeguamento funzionale e strutturale e promosso corsi di formazione per gli operatori del settore. Tutto ciò anche ai fini della promozione e della commercializzazione di questi formaggi”.

Territorio e tipicità
Le peculiarità di un territorio si riflettono nelle sue produzioni tipiche. Ciò vale anche per i formaggi tradizionali, le cui specificità dipendono in buona parte dalla morfologia e dall’ambiente locale e dalla tipologia degli animali allevati in zona. In merito, un ruolo importante è giocato dalla capra cilentana”, oggetto, peraltro, di studi da parte del Dipartimento di Produzione Animale dell’Università Federico II di Napoli.
Con il latte munto dalla capra cilentana si ottiene uno dei formaggi più tipici della zona, il cacioricotta, che associa le caseine del formaggio alle siero-proteine della ricotta.

“Un prodotto – continua Gallo – diffuso soprattutto nell’area del Bussentino, dove la popolazione di capra cilentana, tenuta al pascolo nella macchia mediterranea del posto, è ancora consistente”. E se nel Basso Cilento, dove sono presenti pascoli al di sotto dei mille metri, prevale l’allevamento di ovicaprini, nella zona degli Alburni e del Cervati è più facile trovare i formaggi a pasta filata, derivati da latte vaccino. “Questi territori con pascoli più ad alta quota – aggiunge Gallo – sono più adatti all’allevamento bovino e dunque alla produzione di ottimi caciocavalli”.

I formaggi ovi-caprini
Dagli Alburni al Vallo di Diano, dal Cervati al Basso Cilento. Diverse sono le aree vocate alla produzione di formaggi tipici, diversi i piccoli produttori che portano avanti aziende familiari con metodi artigianali e tecniche tradizionali. Dove più forte è la tradizione dei formaggi caprini è nel comprensorio del Bussento. Qui infatti più consistente è la presenza di allevamenti di capra cilentana. A Torraca, Pietro Bruno, titolare dell’omonimo caseificio, ne possiede oltre 150 capi e dal latte di questi animali produce il classico cacio-ricotta cilentano.

“Il primo segreto di un ottimo cacio-ricotta – spiega Bruno – è l’alimentazione naturale delle capre. Lasciate al pascolo nella macchia mediterranea, si nutrono di lentisco, ginestra, mortella ed erbe che danno al latte aromi e sentori inconfondibili. Poi – continua Bruno – c’è la peculiare tecnica di produzione che permette di associare il gusto forte del cacio a quello più delicato della ricotta. Per questo è un formaggio ottimo anche consumato fresco, dopo appena quattro o cinque giorni dalla produzione. Se lasciato stagionare, dopo un mese è già pronto per essere grattugiato”.

Proprio le modalità di consumo fanno privilegiare, infine, una produzione secondo pezzature medio-piccole. “A differenza di altri formaggi a più lunga stagionatura – aggiunge Bruno – è preferibile che le forme di cacioricotta non superino il peso di 300-400 grammi”. Non manca però, in questo territorio, chi si dedica alla produzione di formaggi pecorini. Come Angelo Amato, che a Casaletto Spartano, all’allevamento di pecore di razze selezionate associa la produzione artigianale.

“I nostri formaggi – dice Amato – non hanno mai un sapore identico. L’alimentazione delle pecore, lasciate libere al pascolo, varia ogni giorno. E così anche il latte munto assume aromi e fragranze diverse”. Il pecorino viene lasciato stagionare anche otto mesi e le forme in genere sono di grandi dimensioni, fino a 10 kg di peso. “Perché il pecorino assuma un sapore forte e deciso – spiega Amato – è meglio che le forme non abbiano un peso inferiore ai 7-8 kg. Quelle più piccole, da mezzo chilo, sono ottime invece da grattugiare”.

I formaggi a pasta filata
Tra i formaggi a pasta filata, in cui si utilizza latte vaccino, spicca nel Cilento la mozzarella con la mortella, che trova il suo territorio d’elezione nel comprensorio della Comunità Montana del Lambro e Mingardo. “Un prodotto dall’aroma e dalla consistenza inconfondibile – spiega Benedetto Chirico, titolare dell’omonimo caseificio a Marina di Ascea – che nacque da esigenze pratiche. I pastori e i contadini per conservare e trasportare le mozzarelle impararono a riporle in fasci di mirto raggruppandole in una forma sferica”.

Qui è possibile trovare anche un altro particolare formaggio: il caciocavallo stagionato nel grano, all’interno di cassapanche lignee, un tempo usate per conservare al fresco il prezioso cereale. “Un’idea che trae spunto dalla tradizione – dice Chirico –. Lasciamo stagionare per tre, quattro mesi i caciocavalli insieme al grano che assicura una temperatura e un’umidità costante. Così maturano più lentamente e nel contempo assorbono l’aroma specifico fornito dal grano”.

Tecniche di produzione e caratteristiche
La mozzarella nella mortella, ottenuta da latte vaccino, si conserva e si dispone su rametti di mirto (mirtillus communis)Il suo nome deriva dall’arbusto, detto in dialetto “mortella” o “mortedda”. Quest’uso potrebbe essere scaturito dall’esigenza di conservare al fresco la mozzarella nel trasporto dai pascoli, dove era prodotta, alle abitazioni. Il territorio di produzione è il Basso Cilento, e in particolare alcuni comuni compresi nelle Comunità Montane del Bussento, Mingardo, del Cervati e del Gelbison, dove il mirto cresce spontaneo e rigoglioso.

Al latte di vacca, portato a 37 gradi, viene in seguito aggiunto il caglio. Il tempo di coagulazione è di circa 70 minuti, si procede poi alla rottura della cagliata. La maturazione avviene in appositi tini in assenza, o quasi, di siero (12 - 24 ore). Segue l’operazione di filatura e formatura della mozzarelle. La forma ellisoidale allungata è conferita alla pasta manualmente. Le confezioni sono contenute in “mazzi” comprendenti da 6 a 10 mozzarelle, racchiuse in rametti di mirtillo che conferisce al formaggio un inconfondibile aroma. Al palato l’acidità è leggermente più pronunciata rispetto alle comuni mozzarelle.

Il cacioricotta caprino
Il termine “cacioricotta” deriva dalla particolare lavorazione di questo formaggio caprino, che arricchisce il prodotto finito con le sieroproteine che si ritrovano nella ricotta. È una produzione tipica degli allevamenti caprini del salernitano, in cui è presente la capra cosiddetta “cilentana”. Il latte, appena munto, viene messo in un recipiente (detto “caccavo”) e riscaldato a 85 - 90 gradi. Raggiunta questa temperatura si lascia raffreddare fino a 35 - 36 gradi, quindi si aggiunge il caglio di capretto in quantità di 30 - 40 grammi per quintale di latte; in un tempo di 15 - 20 minuti avviene la coagulazione.

Si fa la rottura della cagliata con il tipico “ruotolo”, in modo da ridurla in granuli delle dimensioni di chicchi di riso. Dopo 10 - 15 minuti, tempo in cui la cagliata precipita e si deposita sul fondo del recipiente, il casaro la raccoglie compattandola nelle “fuscelle” (particolari contenitori forati), per favorire l’uscita del siero. Quando le forme si sono raffreddate si effettua la salatura a secco o in salamoia. Dopo 24 - 36 ore, vengono tolte dalle fuscelle, lavate e disposte su graticciate. Trascorsi due giorni, i formaggi vengono girati per favorire la stagionatura uniforme. Il formaggio è pronto al consumo già fresco oppure dopo due o tre mesi di stagionatura.

Nella zona del fiume Bussento e negli Alburni, dove per altro sono concentrate le maggiori quantità dì capre e si rinviene la maggiore produzione di questo formaggio. Il pascolo, basato sulle essenze della macchia mediterranea, conferisce al formaggio una connotazione organolettica particolare. Le greggi sono costituite prevalentemente da capre di tipo genetico del “Cilento” (nelle sue sottodistinzioni nero, grigio, fulvo). Il Cacioricotta Caprino, a seconda della minore o maggiore stagionatura, presenta un colore che va dal bianco al giallo paglierino.

La pasta è dura e compatta e priva di occhiature. Molto profumato, se ben stagionato si sente odore di erba. Al palato risulta compatto, gustoso, poco piccante. Si produce per buona parte dell’anno, ma i cacioricotta più pregiati sono quelli preparati nei mesi di aprile e maggio. Servito a spicchi, si accompagna a pane casereccio e vino rosso locale. Il formaggio stagionato è ottimo, grattugiato, per condire la pasta fatta in casa.

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Bartolomeo Ruggiero
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